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IL GLAUCOMA
I GLAUCOMI PRIMARI . 3 GLAUCOMA SECONDARIO AD ANGOLO APERTO . 3 GLAUCOMI SECONDARI DA CHIUSURA D'ANGOLO . 4 Anatomia e fisiologia della produzione e deflusso dell'umore acqueo . 6 Anatomia e vascolarizzazione della testa del nervo ottico. . 7 Teorie patogenetiche del danno glauacomatoso . 8 In generale . 9 -Tonometria . 9 Oftalmoscopia . 10 Esame dello strato delle fibre nervose . 11 Ultrabiomicroscopia . 11 Perimetria . 11 Gonioscopia . 13 Elettrofisiologia del glaucoma. . 13 Studio dell’Emodinamica . 14 a)Color Doppler Imaging . 14 b)O.B.F. . 14 c)HRF . 14 Miotici parasimpaticomimetici . 16 Simpaticomimetici alfa e beta stimolanti . 17 Alfa due stimolanti: . 17 Alfa-simpaticolitici: . 18 Beta bloccanti: . 18 Inibitori dell’anidrasi carbonica: . 18 Analoghi delle prostaglandine (PGF2alfa): . 19 Agenti osmotici: . 19 Terapia non ipotonizzante – Vie di progresso verso la neuroprotezione del nervo ottico . 20 Terapia del glaucoma da chiusura d’angolo . 23 Glaucoma primario ad angolo aperto . 24 Glaucoma a bassa pressione: . 26 Glaucoma pigmentario: . 26 Glaucoma da pseudoesfoliazione (glaucoma capsulare): . 27 Terapia del glaucoma cronico ad angolo aperto. . 27 Terapia chirurgica del glaucoma . 28 GLAUCOMA MALFORMATIVO, GLAUCOMA CONGENITO, GLAUCOMA INFANTILE . 30 Epidemiologia . 30 Patogenesi . 31 Quadro Clinico-Diagnosi . 31 Terapia . 31 Gl. associati con anomalie di sviluppo . 33 Glaucoma associato a malattie cromosomiche o congenite: . 34 Glaucoma associato con malattie oculari . 35 Glaucomi associati con malattie sistemiche e/o con l'uso di farmaci . 37 Glaucomi associati con flogosi o traumi . 39 Glaucomi associati a chirurgia oculare . 41 INTRODUZIONE

Glaucoma è un termine generale che racchiude molteplici entità cliniche eterogenee fra di loro, accomunate
dalla comparsa di un'otticopatia progressiva caratterizzata dalla esclusiva perdita di cellule ganglionari
retiniche e di una tipica escavazione della papilla ottica a cui si associano delle alterazioni delle funzioni
visive, tra cui la preminente e più nota è la riduzione della sensibilità luminosa retinica, che causa tipiche
anomalie del campo visivo. E' ormai comune nella definizione di glaucoma prescindere dalla presenza di
elevati livelli della pressione intraoculare. L'ipertono oculare, tradizionalmente considerato un elemento
necessario e patognomonico del glaucoma (triade di Von Graefe) viene oggi piuttosto interpretato come il
principale fattore di rischio per lo sviluppo e la progressione dell'otticopatia glaucomatosa, affianco al quale
esistono altri fattori causali che concorrono in misura differente a seconda dei singoli casi e tipi clinici.
CLASSIFICAZIONE

La classificazione più comunemente accettata prevede la distinzione tra glaucomi primari e secondari. Con il
progredire delle conoscenze riguardo agenti etiologici e meccanismi patogenetici dei glaucomi, tale
distinzione appare sempre meno definita e piuttosto artificiosa, mentre si va verso un inquadramento unitario
con classificazione su base etiopatogenetica.
Tuttavia per chiarezza didattica e per non generare confusioni terminologiche manterrremo la distinzione ta
glaucomi primari e secondari.
I glaucomi primari sono quelli che non riconoscono evidenti contributi causali da parte di altre affezioni a
sede sia oculare che sistemica ed in cui i meccanismi etiologici dell'ipertono (quando presente) risiedono
esclusivamente a livello della camera anteriore e della via di deflusso trabecolare.
Queste forme sono clinicamente ben identificabili, generalmente bilaterali anche se spesso asimmetriche, e
con decisa impronta genetica e familiare. In questo gruppo è possibile identificare una quota, valutabile
secondo i più recenti studi epidemiologici tra il 20 ed il 40%, di casi in cui l'otticopatia progredisce pur in
assenza di un franco ipertono (c.d. glaucoma a pressione normale NTG).
I GLAUCOMI PRIMARI
comprendono:
- glaucoma cronico primario ad angolo aperto
- glaucoma da chiusura d'angolo (acuto, intermittente, cronico)
- glaucoma congenito primario
I glaucomi secondari invece presentano una o più entità causali oculari o sistemiche identificabili, che
provocano la comparsa dell'ipertono e dell'otticopatia. Possono essere sia mono che bilaterali; in alcuni casi
possiedono caratteri di trasmissione genetica, in altri hanno carattere acquisito sporadico.
Si tratta di forme a più spiccato carattere meccanico e nella cui genesi l'ipertono ha un ruolo assolutamente
preminente se non addirittura esclusivo. Nella gran maggioranza dei casi l'aumento della pressione
intraoculare è dovuto ad ostruzione delle vie di deflusso trabecolare; si può quindi tentare una
classificazione meccanicistica che individui sede e meccamicmi patogenetici di questa ostruzione.
GLAUCOMA SECONDARIO AD ANGOLO APERTO
A)
- membrana fibrovascolare (gl. neovascolare) - foglietto endoteliale con membrana simil Descemet - proliferazione epiteliale (post-chirurgica) g) mezzi viscoelastici o tamponanti esogeni h) gl. da alfa-chimotripsina (in corso di I.C.C.E.) 2) Alterazioni strutturali del trabecolato a) C) Post-trabecolare (aumento della pressione venosa episclerale) 8) dopo chirurgia episclerale (blocco delle vorticose) GLAUCOMI SECONDARI DA CHIUSURA D'ANGOLO A) Meccanismo "anteriore" (retrazione) 2) contrazione di precipitati infiammatori 3) contrazione di bande fibrose congenite B) Meccanismo "posteriore" (spinta) b) sublussazione della lente (spontanea o traumatica) d) iride "bombé" in corso di uveite a) gl. da blocco ciliare ("maligno") e) tumori intraoculari (melanoma, retinoblastoma) Per il clinico tuttavia può essere più utile adottare una classificazione eziologica, basata cioè sulle patologie di base causa dello sviluppo del glaucoma. Tale classificazione ha il vantaggio di inserire ogni forma clinica in un unico capitolo anche qualora i meccanismi patogenetici fossero molteplici; inoltre consente al medico di ragionare in termini di patologia di base, aiuta il non specialista a valutare il rischio di glaucoma nell'inquadramento generale del caso clinico. Forme anche differenti fra di loro vengono riunite in gruppi più vasti accomunati dalla comune etiologia, favorendo un più corretto approccio terapeutico che idealmente dovrebbe essere volto all'eliminazione della causa prima che al trattamento del sintomo ipertono. Uno schema di classificazione etiologica può essere il seguente: GLAUCOMI A) Glaucomi associati con anomalie di sviluppo - anomalie cromosomiche ed altre malattie genetiche B) Glaucomi associati con malattie oculari - affezioni primitive dell'endotelio corneale - gl. da intumescenza e dislocazione della lente C) Glaucomi associati con malattie sistemiche e farmaci - da aumento della pressione venosa episclerale - malattie sistemiche con ipertono e gl. secondario D) Glaucomi associati con flogosi e traumi - gl. in corso di cheratite, sclerite ed episclerite E) Glaucomi associati a chirurgia oculare - gl. da chirurgia episclerale ed olio di silicone I glaucomi malformativi trovano una sistemazione a cavallo dei due gruppi, tuttavia tradizionalmente il glaucoma congenito primario rientra tra i glaucomi primari, mentre altre forme di glaucoma su base malformativa sono considerate secondarie. FISIOPATOLOGIA
Anatomia e fisiologia della produzione e deflusso dell'umore acqueo
L'umore acqueo viene prodotto dall'epitelio bistratificato dei processi ciliari al volume di 2,0-3,5 microlitri al
minuto e riversato nella camera posteriore dietro l'iride; passa quindi attraverso il forame pupillare ed arriva
in camera anteriore da cui viene allontanato a livello dell'angolo camerulare (irido-corneale), attraversando
una struttura cribriforme detta trabecolato per arrivare ad un canale circonferenziale (su 360°) posto nello
spessore sclerale a ridosso delle strutture angolari: il canale di Schlemm. Dal canale di Schlemm l'umore
acqueo viene avviato attraverso dei collettori radiali o vene acquose verso la circolazione episclerale e
quindi allontanato dall'occhio (via trabecolare o convenzionale). Affianco al deflusso trabecolare esiste una
via accessoria o uveo-sclerale per cui l'umore acqueo viene eliminato percolando attraverso la radice iridea,
la banda ciliare e la faccia anteriore del corpo ciliare, attraverso gli spazi interstiziali connettivali e di lì nello
spazio sovracoroideale e attraverso la sclera: tale via accessoria provvede in condizioni fisiologiche al 5-
20% del deflusso acqueo totale.
Le principali strutture di produzione e deflusso dell'umore acqueo possiedono una innervazione autonoma per cui meccanismi adrenergici e colinergici hanno un ruolo importante sia per la normale fisiologia dell'idrodinamica sia in termini di fisiopatologia e di approccio terapeutico al glaucoma. La produzione dell'acqueo a livello dei processi ciliari avviene con due meccanismi: ultrafiltrazione per effetto della pressione idrostatica e secrezione attiva energia-dipendente. Sebbene i dati sperimentali in merito non siano univoci, si può ritenere che la secrezione attiva partecipi per circa l'80-90% alla produzione totale: L'ultrafiltrazione è regolata dal gradiente pressorio tra spazi interstiziali del processo ciliare e camera posteriore ed è influenzata dall'aumento di pressione intraoculare (IOP), che ne riduce l'entità dando luogo al fenomeno della pseudofacilità al deflusso. La secrezione attiva è invece pressoché indipendente dalla pressione intraoculare. A conferma dell'esistenza di meccanismi attivi di produzione sta la composizione stessa dell'acqueo, che rispetto al plasma ha una concentrazione assai minore di proteine (60-100 mg%ml contro 6-7000 mg%ml) ma in compenso nettamente maggiore di acido ascorbico, ione bicarbonato, sodio e cloruri. Il meccanismo di produzione prevederebbe quindi la secrezione attiva di ioni Na+ da parte di una pompa Na-K ATP-dipendente (che può essere inibita dal glicoside digitalico ouabaina), accoppiata nel funzionamento alla produzione e secrezione di bicarbonati (HCO3-) ad opera dell'anidrasi carbonica. Su questa attività secretiva si innestano dei meccanismi di controllo mediati da vari neurotrasmettitori e recettori. Punto centrale di tale sistema è il complesso recettoriale per l'adenilo-ciclasi presente sulle membrane cellulari delle cellule epiteliali dei processi ciliari. L'attivazione beta-adrenergica, ed in particolare dei recettori beta-due particolarmente abbondanti a livello dei processi ciliari, ha un 'azione stimolante la produzione di c-AMP da parte dell'adenilo-ciclasi, viceversa la stimolazione dei recettori alfa-due provoca un effetto di inibizione della produzione di c-AMP sia per azione diretta (recettori alfa2 post-sinaptici); sia per blocco del re-uptake della noradrenalina a livello presinaptico. Inoltre la stimolazione beta adrenergica provoca un aumento del flusso ematico al corpo ciliare che è invece diminuito per stimolazione alfa, in particolare alfa uno. E' ipotizzabile anche un'azione muscarinica (colinergica) sul recettore dell'adenilociclasi, con azione verosimilmente inibitoria. Va ancora menzionata l'esistenza di recettori e mediatori dopaminergici ed indolaminergici: l'ibopamina, agonista dopaminergico è in grado di causare un aumento della produzione di acqueo verosimilmente per stimolo di recettori D1, oltre a dare sbiancamento congiuntivale e midriasi per stimolo di recettori alfa. Tra le indolamine un ruolo importante spetterebbe alla serotonina mediante un'azione di stimolo sulla Na-K ATPasi e quindi sulla produzione di acqueo, attività esplicata soprattutto durante le ore diurne. Durante la notte invece si avrebbe un'attivazione della N-Acetil Transferasi che assieme alle HIOMT trasforma la serotonina in melatonina; conseguentmente si riduce la stimolazione della Na-K ATPasi e quindi il flusso acqueo, mentre la melatonina (che è un inibitore delle prostaglandine) provoca una parallela, sia pur minore come entità, riduzione della facilità al deflusso a livello angolare. La regolazione dei ritmi circadiani sarebbe data proprio dall'intersecarsi delle azioni adrenergiche e serotoninergiche. Il deflusso dell'umore acqueo avviene passivamente per effetto di un gradiente pressorio attraverso due vie: la via trabecolare o anteriore o convenzionale, che prevede il passaggio attraverso il trabecolato corneo-sclerale che occupa la doccia compresa tra la faccia interna della cornea e lo sperone sclerale, a livello dell'angolo irido-corneale. Attraverso il trabecolato l'umore acqueo raggiunge il canale di Schlemm e di lì attraverso collettori radiali detti vene acquose raggiunge le vene episclerali e la circolazione generale. La seconda via o deflusso posteriore o uveo-sclerale o accessoria prevede il passaggio attraverso la banda ciliare e la radice dell'iride penetrando nello stroma del corpo ciliare e fluendo lungo gli spazi interstiziali connettivali fino allo spazio sovracoroideale e di lì attraverso la sclera o direttamente per diffusione o lungo gli spazi perivascolari fino allo spazio peribulbare. Tale via da alcuni indicata come l'analogo del drenaggio linfatico che esiste in altri distretti, provvede nella razza umana al 5-20% del deflusso totale. Il trabecolato che smaltisce gran parte del deflusso acqueo consta di una parte anteriore corneale non filtrante che ha rapporto con la linea di Schwalbe e con l'endotelio corneale e si continua più perifericamente con la parte filtrante del trabecolato posta all'interno della parete del canale di Schlemm nella doccia di sclera delimitata posteriormente dallo sperone sclerale; esso può essere suddiviso in una porzione iuxtacanalicolare o cribriforme profonda, a contatto con la parete mediale del canale, a struttura più omogenea con micropori che consentono solo il passaggio dell'acqua e di piccoli soluti verso l'endotelio dello Schlemm. Più internamente (verso la camera anteriore) a riempire il solco sclerale sta il trabecolato corneo-sclerale che è la porzione preponderante ed è costituito da da un reticolato di fibrille con un 'core' di collagene, fibre elastiche e matrice amorfa rivestite di cellule endoteliali con una membrana basale. Ancora più internamente verso l'acqueo sta il trabecolato uveale a maglie assai larghe, che si continua posteriormente con la banda ciliare (dietro lo sperone sclerale) e la radice dell'iride mentre anteriormente si fonde con il trabecolato corneo-sclerale. Assai importante è il rapporto tra regione trabecolare e muscolo ciliare. Le fibre longitudinali del muscolo ciliare terminano anteriormente in una serie di tendini che in parte attraversano la trama trabecolare e vanno ad ancorarsi saldamente alla periferia corneale, in parte (nella porzione più esterna) si inseriscono sulla sclera e soprattutto sullo sperone sclerale; in parte infine vanno a prendere legami con la trama connettivale del trabecolato cribriforme fino alla parete interna del canale di Schlemm. La contrazione del muscolo ciliare comporta quindi da una parte lo spostamento in avanti verso lo sperone sclerale e radialmente verso il centro della massa muscolare con rilasciamento delle fibre zonulari (e quindi accomodazione) ma anche uno stiramento delle strutture trabecolari con aumento della facilità di deflusso trabecolare; da ultimo la contrazione delle fibre muscolari riduce gli spazi interstiziali del corpo ciliare e quindi riduce il flusso uveo-sclerale. Esistono a livello del trabecolato dei recettori beta adrenergici, in particolare beta due, la cui stimolazione (per esempio ad opera dell'epinefrina) causa aumento della facilità di deflusso probabilmente mediata dall'attivazione del sistema c-AMP/adenilociclasi. Tale aumento può essere inibito dal trattamento con beta-bloccanti che però non provocano di per sé un aumento delle resistenze: ciò starebbe ad indicare una assenza di tono beta adrenergico basale. L'azione colinergica a livello del trabecolato è principalmente mediata dalla contrazione del muscolo ciliare (e dello sfintere irideo) con aumento meccanico delle dimensioni dei pori trabecolari e parallela riduzione delle resistenze; tuttavia tale ipotesi meccanica non spiega tutti gli effetti dello stimolo colinergico e lascia aperta la possibilità che esista un'azione di modulazione diretta (con meccanismo recettoriale) a livello delle cellule trabecolari. Vanno ancora citate le prostaglandine (PGF2alfa)che hanno una potente azione di incremento del flusso uveo-sclerale e che sarebbero prodotte a livello delle cellule trabecolari. Come precedentemente citato, la melatonina prodotta nelle ore notturne a partire dalla serotonina avrebbe un'azione di riduzione della facilità di deflusso proprio attraverso l'inibizione delle prostaglandine. Da ultimo menzioniamo i corticosteroidi che, almeno in individui geneticamente predisposti, possono indurre riduzione del deflusso per aumento delle resistenze a livello trabecolare, attraverso alterazioni biochimiche che vanno dalla inibizione della sintesi di prostaglandine alla espressione di un particolare gene, di cui si sta perfezionando lo studio, che codifica la sintesi di una proteina definita TIGR (tiger) o "trabecular meshwork inducible glucocorticoid response". Tali nozioni sembrano delineare per i corticosteroidi un'azione di regolazione assai più importante di quanto si ritenesse, ed aprono spazi alla comprensione dell'origine dell'ipertono su base genetica attraverso la produzione di una proteina TIGR anomala o in eccesso e conseguente intasamento delle vie di deflusso. La pressione intraoculare (IOP) è la risultante di una relazione tra volume di acqueo prodotto (F) e resistenza al deflusso (R), ed è influenzata dalla pressione vigente nelle vene episclerali (Pv) cha raccolgono gran parte dell'acqueo. Se uno di questi elementi aumenta anche la IOP aumenta: si può esprimere tale rapporto in termini matematici (sia pure semplificati) con la classica equazione di Goldmann secondo la quale o anche indicando come facilità al deflusso (C) l'inverso della resistenza (C = 1/R) Anatomia e vascolarizzazione della testa del nervo ottico. La testa del nervo ottico è la parte intraoculare del nervo, lunga solo 0,7-1,0 mm, ed ha forma conica a base esterna, con il diametro interno di circa 1,5 mm e quello esterno di circa 3,0 mm. La parte della testa del nervo ottico che risulta visibile oftalmoscopicamente viene definita "papilla ottica": essa è costituita dalle fibre ganglionari ancora amieliniche che convergono verso il nervo ottico e si incurvano a 90° per abbandonare il bulbo attraverso una struttura connettivale di supporto detta 'lamina cribrosa', al di là della quale acquistano una guaina mielinica ed un rivestimento meningeo per formare il nervo ottico extrabulbare. Oltre alle fibre nervose nella testa del nervo ottico sono presenti cellule gliali (astrociti, oligodendrociti, microglia), tessuto connettivale e vasi. Possiamo suddividere la testa del nervo ottico in 3 zone lamellari sovrapposte che dall'interno all'esterno sono: a) lo strato delle fibre nervose retiniche che formano la papilla p.d. b) lo strato di pertinenza coroideale o prelaminare c) lo strato di pertinenza sclerale o laminare (lamina cribrosa) ancora posteriormente si trova il nervo ottico vero e proprio con le guaine meningee e mielinizzato. Molti strati di astrociti isolano la testa del nervo ottico dal tessuto retinico, coroideale e sclerale circostante (tessuto limitante di Elschnig). La componente assonale è raccolta in fasci circondati da cellule gliali, mantenedo una organizzazione topografica con assoni vicini che originano da zone retiniche adiacenti. A livello sclerale nella lamina cribrosa aumentano le componenti connettivali sia cellulari che strutturali, a formare dei foglietti paralleli alla superficie del bulbo (e quindi perpendicolari agli assoni) in cui sono presenti numerosi fori che formano dei canali nei quali transitano i fasci di fibre. Importante è la vascolarizzazione della testa del nervo ottico, che ripropone la suddivisione in tre zone sovrapposte: a) la regione delle fibre nervose retiniche (papilla) è irrorata da rami provenienti dall'arteria centrale della retina, per lo più capillari ed arteriole originati nella regione peripapillare. Può sussistere un apporto da parte di un'eventuale arteria cilio-retinica, mentre non vi è una componente coroideale. I capillari sono non fenestrati con giunzioni serrate (barriera emato-oculare). b) la regione prelaminare è irrorata dalle arterie ciliari posteriori sia con rami diretti che provenienti dal circolo arterioso di Zinn-Haller. Solo rari ed occasionali rami giungono dalla coroide peripapillare (anche se i dati a riguardo sono discordanti). c) anche la regione laminare è irrorata dalle arterie ciliari posteriori con rami diretti o attraverso il circolo di Zinn-Haller. Discordanti i dati circa l'esistenza e l'importanza di rami ad origine coroideale e sclerale. Al di dietro della lamina cribrosa l'irrorazione è assicurata da rami centripeti a partenza piale e nella porzione immediatamente retrobulbare anche da rami centrifughi dell'arteria centrale retinica. Esistono numerose anastomosi in senso longitudinale fra le reti capillari dei vari strati della testa del nervo ottico. Il deflusso venoso è pressochè totalmente assicurato dalla vena centrale della retina con solo rari contributi delle vene coroideali peripapillari. Va fatto cenno che la testa del nervo ottico è situata in una zona sede dello "spartiacque" irrorativo (watershed zone di Hayreh) tra le varie arterie ciliari posteriori, per cui l'apporto delle singole arterie all'irrorazione complessiva può essere assai differente da individuo ad individuo: si tratta comunque di una zona particolarmente vulnerabile alla diminuzione della pressione di perfusione e più in generale a disordini di tipo ischemico. Teorie patogenetiche del danno glauacomatoso Due visioni si contrappongono nel tentativo di chiarire il meccanismo che porta all'atrofia ottica glaucomatosa: a) una teoria meccanica, che sostiene che il danno è dovuto all'azione della pressione intraoculare che si eserciterebbe soprattutto a livello della lamina cribrosa con compressione delle fibre a deformazione della lamina e dei pori e conseguente effetto "ghigliottina". b) una teoria vascolare che sostiene un ruolo determinante (secondo alcuni addirittura esclusivo) di modificazioni microcircolatorie di tipo ischemico, primitive e/o secondarie all'ipertono oculare. Sempre maggiore attenzione si presta in questo senso all'esistenza di fenomeni di autoregolazione della circolazione nella testa del nervo ottico ed a sue eventuali anomalie, soprattutto in sesnso vasospastico. Un punto di passaggio comune alle due teorie è comunque l'esistenza di un blocco del flusso assoplasmico (soprattutto retrogrado) durante le fasi iniziali (reversibili ?) della sofferenza neuronale a cui farebbe seguito l'innesco di meccanismi degenerativi irreversibili (apoptosi), forse scatenati dal mancato arrivo al corpo cellulare di segnali (mediatori, proteine, growth factors) provenienti dalle terminazioni sinaptiche. Nessuna delle due teorie spiega completamente tutte le forme di glaucoma per cui è probabile che fattori meccanici e vascolari concorrano in misura variabile a seconda dei tipi clinici e dei casi individuali alla genesi dell'atrofia glaucomatosa. E' stato recentemente proposto uno schema patogenetico integrato (fig.1) che sembra poter conciliare le due visioni finora contrapposte: fattori vari, geneticamente definiti o francamente acquisiti, provocano alterazioni trabecolari e quindi un rialzo della pressione intraoculare; l'ipertono provoca un blocco del flusso assoplasmico a livello della testa del nervo ottico, sia per compressione diretta che per l'effetto di deformazione della lamina cribrosa, sia attraverso un'ischemia per compressione dei vasi e per riduzione della pressione di perfusione. Altri fattori vascolari locali o sistemici (vasospasmo, ipotensione, arteriosclerosi) possono concorrere all'ischemia.
Un'ischemia localizzata accentua il blocco del flusso assoplasmico per riduzione dell'energia disponibile e
provoca l'attivazione di una catena di reazioni (già ben nota a livello cerebrale dopo insulti ischemici) con
liberazione di glutamati. Il blocco del flusso assoplasmico non inibisce inizialmente la trasmissione dello
stimolo visivo che procede come potenziale d'azione lungo la membrana cellulare, ma provoca un blocco
dell'arrivo di neurotrofine (growth factors) dal centro in senso retrogrado fino al corpo della cellula
ganglionare. La liberazione di glutamati a sua volta provoca l'attivazione di recettori NMDA e un afflusso
intracellulare di ioni Calcio. I due meccanismi, ischemico e meccanico convergono quindi nell'innescare (o
dereprimere) una catena di eventi definita apoptosi: una morte cellulare silenziosa ed innocua per le cellule
circostanti, una sorta di "suicidio" cellulare. E' interessante notare come tale processo sia del tutto normale
nelle fasi di sviluppo embriogenetico, quando una quota rilevante degli assoni delle cellule ganglionari non
riescono a creare rapporti sinaptici corretti a livello genicolato: la mancanza di segnali di feedback ad azione
trofica in senso retrogrado provoca l'innesco del programma di apoptosi che elimina le cellule ganglionari
non correttamente collegate. La situazione di blocco dell'arrivo di neurotrofine in senso retrogrado ed il
danno da attivazione della catena dei glutamati riprodurrebbe tale situazione embrionaria, con conseguente
"suicidio" della cellula ganglionare.
Tale ipotesi deve ovviamente trovare conferma, ma appare suggestiva in quanto concilia ed integra i dati
finora emersi a favore delle due teorie patogenetiche; apre inoltre una prospettiva interessante di nuovi
approcci terapeutici, non più volti solo al trattamento dell'ipertono, bensì ad una protezione integrata della
testa del nervo ottico.
DIAGNOSI DI GLAUCOMA
In generale
In attesa di disporre di un test che ci permetta di individuare i soggetti glaucomatosi in base ad anomalie
genetiche, prima che la malattia si sia manifestata, la diagnosi di glaucoma oggi riposa sulla constatazione
degli elementi clinici caratteristici ed in particolare dell'ipertono e del danno ( sia in senso
anatomico/morfologico che in senso funzionale) a carico delle fibre ganglionari che costituiscono il nervo
ottico. Negli ultimi tempi si è sviluppato un nuovo campo di indagine volto a rilevare anomalie nella
vascolarizzazione e nella perfusione della testa del nervo ottico, particolarmente importante nelle forme
definite "a bassa pressione" in cui cioè l'elemento meccanico costituito dall'ipertono sembra di minor
importanza patogenetica. Bisogna premettere che mentre la diagnosi degli stadi avanzati della malattia non
pone problemi rilevanti, nelle fasi iniziali non esiste ancora un singolo test che riesca con un unico rilievo a
differenziare con sufficiente sensibilità e specificità i pazienti affetti da glaucoma. La diagnosi dipenderà
pertanto dalla sintesi ed interpretazione eseguite dall'oftalmologo dei risultati di differenti valutazioni
strumentali eventualmente ripetute più volte nel tempo.
-Tonometria
Il rilievo della pressione intraoculare (PIO) resta uno dei momenti fondamentali nell'approccio diagnostico e
nel follow-up del paziente glaucomatoso, pur essendo di per sé un elemento di sicura diagnosi solo per
valori estremi (PIO > 30-35 mmHg). In realtà le curve di distribuzione dei valori tonometrici tra soggetti
normali e glaucomatosi sono ampiamente sovrapposte, rendendo pressoché impossibile individuare un
valore limiti che discrimini tra le due popolazioni con sufficiente sensibilità e specificità. Esistono infatti da un
lato casi di glaucoma a "bassa pressione" (meglio detto a"pressione normale"- NTG) entro cioè quello che
viene definito il range di normalità; d'altra parte esiste una condizione definita di ipertensione oculare cioè
valori di tono superiori al normale in assenza di qualsiasi segno di danno glaucomatoso. Il rilievo della PIO
mantiene comunque una grande utilità sia per l'inquadramento diagnostico, sia per il monitoraggio
dell'efficacia del trattamento ipotonizzante. Il principio fondamentale di tutti i tonometri di uso clinico risiede
nell'applicazione di una forza nota alla superficie corneale e nel rilievo della deformazione indotta da cui si
calcola la pressione intraoculare. Il tonometro di Schiotz sfrutta l'indentazione della cornea da parte di uno
stantuffo di peso noto (e variabile con l'aggiunta di pesi) e nella lettura su una apposita scala dell'entità della
deformazione: la corrispondente PIO viene letta sulle tavole di conversione fornite con lo strumento per
ciascun peso dello stantuffo. E' un apparecchio robusto, economico, portatile e di facile uso e trova ancora
un certo uso in campo clinico. Il suo inconveniente principale risiede nel fatto che, essendo elevato il volume
di fluido intraoculare dislocato dall'indentazione, risente in maniera assai evidente di variazioni della rigidità
sclerale (miopia, pregressi interventi episclerali etc.), che ne alterano in modo anche assai sensibile la
attendibilità. La tecnica di riferimento per la tonometria ("gold standard") è la tonometria ad aplanazione sec.
Goldman, introdotta a metà degli anni '50. Diversamente dal tonometro di Schiotz l'aplanometro sfrutta
l'aplanazione della cornea in un area di 7,35 mmq (3,06 mm di diametro), spostando minime quantità di
liquido e minimizzando il ruolo della rigidità sclerale. La misurazione viene eseguita con lo strumento
montato sulla lampada a fessura, il paziente seduto e collaborante in quanto i movimenti oculari o palpebrali ostacolano il corretto rilievo della PIO. Occorre praticare una anestesia topica (Novesina o Benoxinato) e colorare il film lacrimale con fluoresceina per rendere più leggibile l'immagine fornita dall'aplanometro. La fessura luminosa va aperta al massimo, utilizzando un filtro blu ed orientata tangenzialmente alla cornea in modo da illuminare solo la punta dello strumento che contiene un doppio prisma, collegato ad un braccetto oscillante e che va accostata fino ad entrare in contatto con la cornea nella sua porzione centrale; si regola quindi la pressione con la vite di comando fino ad ottenere l'aplanazione della superficie, indicata dalla comparsa nell'oculare di 2 semicerchi contrapposti a formare una specie di S rovesciata. Di questo strumento esiste una versione portatile (Perkins), che ne consente l'uso al letto del malato, ma che richiede una particolare manualità ed esperienza. Negli ultimi anni sono stati introdotti nella pratica clinica i tonometri pneumatici automatici. Questi apparecchi sfruttano un getto d’aria compressa per deformare la cornea e calcolano la pressione intraoculare in base alla variazione del riflesso luminoso della superficie corneale; hanno il grande vantaggio di non richiedere contatto con la superficie oculare e pertanto non necessitano di anestesia né di instillazione di colorante, sono di uso facile e veloce (anche da parte di personale sanitario ausiliario), sono ben accetti al paziente e danno risultati accettabilmente precisi e ripetibili a condizione di provvedere ad una periodica taratura dello strumento. Il loro limite principale sta nel costo piuttosto elevato. Concettualmente correlata alla tonometria e ad essa complementare è la tonografia, che ci fornisce dati sulle capacità di deflusso del sistema trabecolare. Essa si basa sul principio che il peso di un tonometro ad indentazione, mantenuto sull’occhio per un certo lasso di tempo, provoca un aumento del deflusso dell’acqueo, che non si verifica negli occhi con alterazioni trabecolari come quelli glaucomatosi. L’esame consiste nella registrazione continua dei valori decrescenti della PIO per effetto della pressione del tonometro: lo strumento è in grado di derivare da questi dati la misura della Facilità al deflusso (C ) che è l’inverso della resistenza (R ). Ricordando la formula secondo cui F = C x (PIO-Pv) si ottiene che C = F / (PIO-Pv). Un valore di C<0,12 depone fortemente per la diagnosi di glaucoma, mentre valori superiori a 0,20 sono sicuramente normali. I tonografi computerizzati hanno migliorato la affidabilità della metodica. Una interessante applicazione di questo strumento sfrutta il rilievo dell’ampiezza del polso legato al ciclo cardiaco per valutare l’entità del flusso ematico bulbare contemporaneamente alla misura della PIO (OBF= Ocular Blood Flow meter). Oftalmoscopia La valutazione del danno glaucomatoso può essere effettuata anatomo-morfologicamente oppure funzionalmente. Le alterazioni dello strato delle fibre ganglionari retiniche e soprattutto della testa del nervo ottico in corso di glaucoma sono assai caratteristiche e rendono agevole la diagnosi nei casi avanzati, mentre sono assai più difficilmente individuabili nelle fasi iniziali della malattia. L’osservazione della papilla ottica con l’oftalmoscopia preferibilmente binoculare e stereoscopica (oftalmoscopio indiretto, esame con vetro a tre specchi di Goldmann) mostra una progressiva riduzione della rima neurale della papilla ed un parallelo ingrandimento dell’escavazione con nasalizzazione del peduncolo vascolare. Tali alterazioni sono dovute alla progressiva atrofia delle fibre ganglionari retiniche per azione compressiva meccanica diretta e/o ischemica. Concomita quindi un “denudamento” dei vasi all’emergenza non più parzialmente mascherati dalle fibre ganglionari, ed il loro progressivo disporsi sui margini dell’escavazione ed infine quasi sospesi nel vuoto (vasi circumlineari ed a ponte). Nelle fasi più avanzate si osserva spesso una atrofia corio retinica peripapillare (di tipo beta e/o alfa). Altro segno non costante ma molto suggestivo di glaucoma è la presenza di emorragie a “scheggia” sul bordo papillare solitamente associate ad assottigliamenti localizzati (“notching”) della neurorima ed a corrispondenti difetti fascicolari dello strato delle fibre nervose e del campo visivo. Nelle fasi iniziali della malattia queste alterazioni sono estremamente difficili da individuare con certezza con una singola osservazione; ciò rende ragione dell’importanza assunta dai metodi di “imaging”, in grado di immagazzinare, analizzare e confrontare immagini ottenute in tempi successivi alla ricerca dell’evoluzione o progressione delle alterazioni di tipo glaucomatoso, sia per la conferma della diagnosi sia per il monitoraggio della terapia. Il primo e più utilizzato di questi metodi è la fotografia o meglio la stereofotografia del disco ottico, che consente valutazioni morfologiche dirette e comparative (fotogrammetria): i parametri numerici più utilizzati alla ricerca di una standardizzazione dei criteri diagnostici ed ovviare alla variabilità interindividuale sono dei rapporti tra misure, che risultano pertanto adimensionali: il rapporto cup/disc tra diametro dell’escavazione e quello dell’intero disco ottico, che risulta fortemente suggestivo di glaucoma per valori superiori a 0,5 e comunque qualora tenda ad aumentare nel tempo; il rapporto disc/rim tra la superficie del disco ottico e quella della neurorima. Sempre più utilizzati sono apparecchi digitalizzatori d’immagine, capaci di trasformare le immagini in un segnale digitale e di immagazzinarle su supporti magnetici, calcolare i vari indici diagnostici in maniera automatica o semiautomatica, confrontare le immagini fra di loro per evidenziare le variazioni nel tempo. Sono stati messi a punto pacchetti software dedicati a tale scopo e che utilizzano le immagini acquisiti dai normali retinografi o più recentemente di apparecchiature laser a scansione confocale, in grado di ottenere immagini seriali a profondità differente e ricostruirle tridimensionalmente realizzando una vera e propria scansione tomografica. Queste apparecchiature consentono una precisa morfometria della papilla ed eliminano o riducono fortemente la variabilità legata all’osservatore, assicurando una maggiore sensibilità nell’individuare la presenza e l’evoluzione del danno glaucomatoso. Esame dello strato delle fibre nervose L’esame dello strato delle fibre (RNFL) consiste nell’osservazione biomicroscopica con luce rossopriva, eventualmente corredata di fotografie con filtro blu o con oftalmoscopia scanning laser ad argon blu-verde. L’esame del RNFL è assai sensibile nell’individuare le più precoci alterazioni dovute al glaucoma in uno stadio precedente la comparsa di altre anomalie morfologiche o funzionali. Tuttavia occorre tenere presente che alterazioni delle fibre ganglionari non sono un’esclusiva del glaucoma bensì possono comparire in diverse affezioni neurologiche e possono essere presenti anche in occhi normali. Lo spessore delle fibre ganglionari in corrispondenza dell’area peripapillare può essere misurato con analizzatori digitali quali l’Optic Nerve Head Analyzer o il sistema ImageNet Topcon o con la polarimetria scanning laser: lo strumento definito Nerve Fiber Analyzer è un oftalmoscopio scanning laser confocale che sfrutta la proprietà di birifrangenza dello strato delle fibre nervose e calcola il ritardo di fase impresso ad un fascio di luce polarizzata da parte dello strato delle fibre e che risulta proporzionale al suo spessore. Lo strumento effettua una scansione circolare all’intorno del nervo ottico e lo spessore viene visualizzato su un piano come grafico bidimensionale, con valori calcolati in 16 settori angolari di 22,5° ciascuno. Tipicamente il diagramma normale mostra il massimo spessore ai poli superiore e inferiore e misure minori nasalmente e temporalmente. Il massimo significato diagnostico e di predittività sembra essere dato non tanto dai valori assoluti di spessore, che mostrano un’ampia sovrapposizione tra normali e glaucomatosi, quanto dal rapporto tra spessore dei quadranti superiori e inferiori o ancor meglio tra ottante supero-temporale ed infero-temporale, che risulterebbero precocemente alterati in corso di glaucoma. Tale misura, veloce da effettuare anche senza dilatazione della pupilla potrebbe assumere il ruolo di test di screening per il glaucoma. Un altro recentissimo metodo di valutare sia lo spessore delle fibre ganglionari sia il grado di escavazione della papilla è la tomografia a coerenza ottica (OCT), che utilizza il principio dell’interferometria ed una sorgente luminosa infrarossa per ottenere sezioni tomografiche in vivo dei tessuti intraoculari, tra cui la testa del nervo ottico e lo strato delle fibre, con elevata riproducibilità e con una risoluzione dell’ordine dei 10 micron. Una sequenza di scansioni longitudinali viene utilizzata per costruire sezioni cilindriche della retina all’intorno del nervo ottico (diametro 3,4 mm) che poi spiegate su un piano permettono l’analisi dei dati di morfologia e spessore complessivi o per singolo quadrante. L’OCT mostra differenze statisticamente significative di spessore del RNFL tra occhi normali e glaucomatosi soprattutto nei quadranti inferiori ed una volta che siano stati raccolti dati sufficientemente numerosi da poter confrontare campioni appaiati per sesso ed età, ci si può aspettare che la metodica sia in grado di individuare i glaucomatosi più precocemente e con sensibilità e specificità maggiori rispetto alla perimetria. Ultrabiomicroscopia Un’altra tecnica di imaging che si è di recente resa disponibile è l’ultrabiomicroscopia, che fornisce immagini bidimensionali ad alta risoluzione del segmento anteriore dell’occhio sfruttando la riflessione degli ultrasuoni come l’ecografia. Risulta particolarmente utile nel delucidare situazioni cliniche quali il glaucoma da chiusura d’angolo, il glaucoma maligno, il blocco pupillare, la sindrome da dispersione pigmentaria, così come per la valutazione postoperatoria dopo interventi fistolizzanti o impianti drenanti. Perimetria Nonostante questi progressi tecnologici, ancora oggi la perimetria rappresenta la procedura fondamentale per la diagnosi ed il follow-up del glaucoma cronico. Il campo visivo può essere definito come la porzione di spazio che un occhio può percepire in un singolo istante, cioè l’insieme dei punti che simultaneamente proiettano sulla retina visiva stimoli sovraliminali. Esso è funzione del senso luminoso e cioè della soglia minima di percezione dello stimolo nelle varie porzioni della retina, ed è influenzato dalle condizioni di adattamento, cioè dal grado di luminosità ambiente, e del forame pupillare che costituisce il diaframma d’ingresso dei raggi luminosi nell’occhio. Il limite tra lo spazio in cui uno stimolo risulta visibile e l’intera area in cui esso non è percepito si definisce isoptera. Un’isoptera è quindi la linea di soglia che unisce punti dello spazio che proiettano su punti retinici ad eguale sensibilità. L’esame del campo visivo è stato tentato fin dall’antichità (già Ippocrate descriveva l’emianopsia), ma ha trovato sistematizzazione a partire dal 19° secolo e definitivamente negli anni ’50 con il lavoro di Goldmann. Quando nell’esame del campo visivo si usano stimoli di intensità costante che si muovono tra aree dove lo stimolo viene percepito e dove non lo è, la tecnica si definisce cinetica, se si utilizzano stimoli fissi ad intensità variabile la tecnica è detta statica. Con la perimetria cinetica si cerca di localizzare i punti sensibili ad un determinato stimolo, con la perimetria statica si cerca di individuare lo stimolo minimo percepito in un determinato punto. Le tecniche più utilizzate sono la perimetria cinetica manuale secondo Goldmann e la perimetria statica automatica computerizzata. La perimetria cinetica utilizza una cupola con luminosità di fondo fissa su cui viene proiettato uno stimolo che viene fatto muovere dall'’operatore dalla periferia verso il centro fino a che viene percepito dal soggetto che mantiene intanto lo sguardo fisso su una mira centrale. L’insieme dei punti in cui quello stimolo viene percepito costituisce un’isoptera. Le alterazioni del campo visivo in corso di glaucoma possono essere inizialmente transitorie, ma diventano irreversibili mano a mano che la sofferenza del nervo ottico si aggrava. Tali alterazioni riguardano inizialmente soprattutto la metà nasale del campo visivo, dal momento che la sofferenza ischemica della testa del nervo ottico inizia di solito dal lato temporale e che le fibre nervose che corrono ad arco fra la papilla ottica ed il meridiano orizzontale (nella cosiddetta area di Bjerrum) sono molto sensibili agli incrementi della pressione intraoculare. Segni precoci del danno glaucomatoso sono il cosiddetto “salto nasale”, per cui in corrispondenza del meridiano orizzontale nasale si ha un restringimento dell’isoptera limitato all’emicampo inferiore. Si associano allargamento ed esclusione della macchia cieca di Mariotte, restringimento delle isoptere pericentrali, difetti fascicolari dell’area di Bjerrum, scotoma di Seidel che si manifesta come un allungamento verticale della macchia cieca e lo scotoma arciforme di Bjerrum che occupa l’intera area omonima. Nelle fasi più tardive si osserva un restringimento concentrico del campo visivo fino allo stadio tubulare con residui temporali, e infine alla perdita della visione centrale con residui isolotti temporali, che precede la completa cecità. Allo scopo di aumentare la standardizzazione e la riproducibilità dell’esame perimetrico è stata messa a punto la perimetria automatica computerizzata, che costituisce oggi lo standard diagnostico di riferimento. Si tratta di una perimetria statica di soglia, viene cioè determinata per una serie di punti dello spazio (e quindi retinici) la soglia luminosa minima; questa informazione viene poi elaborata, confrontata con campioni normali per fascia di età e presentata sotto forma di mappe numeriche, mappe in scala dei grigi,grafici cumulativi e corredata di alcuni indici di affidabilità e di indici perimetrici. Parametri importanti sono la strategia di presentazione degli stimoli e la disposizione nello spazio dei punti testati. Gli indici principali sono il difetto medio (mean defect – MD) che rappresenta di quanto si discosta dal normale la sensibilità media dei punti testati espressa in decibel di attenuazione dello stimolo luminoso massimo; la fluttuazione a breve termine (short-term fluctuation – SF) che indica la variabilità media della sensibilità nei singoli punti durante il singolo esame e che normalmente è inferiore a 2dB; la varianza del danno (o il suo reciproco “ pattern standard deviation) che ci indica se la riduzione di sensibilità è diffusa a tutto il campo visivo o se è localizzata ad un gruppo di punti. Questi indici numerici consentono confronti ed elaborazioni statistiche e vengono sintetizzate in grafici (Curva di Bebié per i perimetri Octopus, “Box plot” per i perimetri Humphrey) che consentono una rapida e sintetica valutazione. L’apparecchio fornisce poi gli indici di affidabilità: perdite di fissazione durante l’esame, risposte false positive e false negative, che ci informano riguardo la corretta esecuzione e quindi l’attendibilità dei risultati ottenuti. Il ruolo della perimetria è nelle fasi precoci soprattutto diagnostico, deve dirci cioè se esiste o meno un difetto del campo visivo e se è attribuibile al glaucoma; dopo che la diagnosi sia stata posta l’esame del campo visivo assolve invece il compito di valuare l’estensione del danno e soprattutto la sua stabilità o progressione. Oltre all’analisi del singolo campo visivo sarà quindi necessaria la valutazione comparativa di più esami ripetuti nel tempo: tale valutazione può essere eseguita direttamente dal sanitario. L’interpretazione è tuttavia resa difficoltosa dall’esistenza della fluttuazione sia a breve termine (durante il singolo esame) che a lungo termine (fra un esame ed il successivo), dall’esistenza di un certo effetto di “apprendimento”, dall’eventuale concomitanza di altre patologie (p.es. cataratta), dalla maggiore o minore affidabilità del paziente durante i diversi esami. Per ovviare a tali difficoltà ed individuare correttamente e tempestivamente la reale tendenza al peggioramento, si utilizza un’analisi statistica computerizzata mediante appositi programmi (Octopus Delta Change , HUMPHREY Statpac Change Probability Analysis). Nuovi strumenti e nuove strategie d’esame vengono continuamente messi a punto nel tentativo di rendere la perimetria automatizzata più rapida, sensibile ed affidabile; tra questi particolarmente promettenti sono la perimetria statica “blu su giallo” e la perimetria ad anello (Ring Perimetry o High Pass Resolution). La perimetria blu su giallo (SWAP – Short Wavelenght Automated Perimetry) utilizza un’apparecchiatura analoga ad un normale perimetro computerizzato, ma presenta uno sfondo giallo brillante e lo stimolo di colore blu. Tali caratteristiche sembrano assicurare una sensibilità e specificità superiori rispetto alla convenzionale perimetria statica in quanto la percezione dei colori dell’asse cromatico blu-giallo, mediata dai coni “s”, è più precocemente compromessa in corso di glaucoma. Tale dato ben si correla alla constatazione che durante il corso dell’otticopatia glaucomatosa il sistema magnicellulare (cellule M), che conta circa il 10% delle fibre totali, è più precocemente danneggiato rispetto al sistema parvicellulare (cellule P). Ciò consente di evidenziare difetti di sensibilità retinica utilizzando uno stimolo blu su giallo con alcuni anni di anticipo nei confronti di una stimolazione bianco su bianco. La High Pass Resolution Perimetry utilizza stimoli con forma anulare, composti da tre bande concentriche, due esterne a luminanza più alta dello sfondo, quella interna con luminanza inferiore allo sfondo di modo che nel suo complesso la luminanza dello stimolo sia pari a quella dello sfondo. La capacità di percepire lo stimolo sembra legata all’integrità anatomo funzionale dei campi recettivi delle cellule ganglionari retiniche, precocemente compromessi durante l’affezione glaucomatosa. Il test è veloce e non particolarmente faticoso ed esprime i risultati oltre che graficamente anche con il valore percentuale dei canali neurali funzionanti residui. Gonioscopia L’approccio diagnostico al glaucoma non può prescindere dalla gonioscopia e cioè dallo studio dell’angolo irido-corneale. Tale studio si pratica a mezzo di particolari lenti definiti gonioscopi che permettono di osservare il recesso angolare: si differenziano gonioscopi diretti, che sfruttano le capacità refrattive per permettere l’osservazione dell’angolo, e gonioscopi indiretti speculari (lente a tre specchi di Goldmann; lente speculare tipo Zeiss). Utilizzando una fessura piuttosto stretta ed angolata in biomicroscopia si osserva una V luminosa, con una branca che si riflette sulla superficie iridea, l’altra che evidenzia la faccia interna della cornea mentre le due branche convergono verso le strutture angolari. Seguendo il riflesso corneale verso l’angolo la prima struttura che si evidenzia è la linea di Schwalbe, che corrisponde al punto in cui si interrompe perifericamente la membrana di Descemet, ed appare come una linea biancastra, brillante e rifrangente. Subito al dietro sta il trabecolato di aspeto amorfo finemente granulare, spesso evidenziato da granuli di pigmento più o meno abbondanti , soprattutto nei quadranti inferiori. Dietro al trabecolato è presente una linea biancastra che è lo sperone sclerale, mentre ancora più indietro sta la parte uveale o banda ciliare di colorito scuro e che si continua con la radice dell’iride. Un momento fondamentale dell’esame è la determinazione dell’ampiezza dell’angolo, valutabile in base alle strutture visibili in gonioscopia. Numerosi schemi classificativi sono stati proposti; a titolo di esempio riportiamo quella di Shaffer, che distingue 5 gradi di ampiezza da 0 a 4. Un angolo di grado 0 è un angolo chiuso, in cui nessuna struttura angolare è osservabile. Si definisce grado 1 quando si osserva la linea di Schwalbe (ampiezza di circa 10°); di grado 2 quando è visibile il trabecolato (circa 20°), di grado 3 quando si vede anche lo sperone sclerale (circa 30°) e di grado 4 quando l’angolo è completamente aperto e tutte le strutture sono visibili (40° e più). Più informativa ma più complessa è la classificazione proposta da Spaeth, che tiene conto di 3 criteri: 1) L’ampiezza in gradi dell’angolo valutata in maniera simile a quella prevista da Shaffer (zero-10°-20°- anteriormente al trabecolato (angolo chiuso) in corrispondenza dello sperone sclerale Concava=q Rettilinea=r Convessa=s In quest’ultimo caso essendo più vicina l’iride alla faccia posteriore corneale la chiusura d’angolo sarà molto facilitata. Quando il trabecolato è visibile, grado “ e oltre, il rischio di chiusura imminente dell’angolo è pressoché nullo, anche se va tenuto conto che nel corso degli anni si possono avere delle modificazioni con restringimento dell’angolo. La gonioscopia permette anche l’osservazione di altri caratteri patologici come la presenza di sinechie angolari, emorragie, presenza di materiali estranei (p.es. olio di silicone emulsionato), membrane neovascolari, pigmento, caratteri malformativi, recessione dell’angolo in caso di traumi etc. Elettrofisiologia del glaucoma. Oltre al senso luminoso, anche altre funzioni dell’apparato visivo possono essere studiate per evidenziare in fase precoce i danni indotti dal glaucoma. Studi istologici hanno mostrato una maggior suscettibilità delle cellule ganglionari grandi (cellule M) che risultano precocemente danneggiate. Dal momento che le varie funzioni visive sono mediate da vie differenti corrispondenti a differenti tipi di cellule ganglionari, si può cercare di testare tali vie in maniera selettiva. Il Pattern ERG è la registrzione di un elettroretinogramma ottenuto mediante stimolazione con una scacchiera alternante. Utilizzando stimoli adeguati per dimensioni degli scacchi e frequenza dell’alternanza si possono investigare selettivamente le risposte del sistema magni- o parvicellulare. L’ampiezza del PERG è assai modesta e richiede accurato rilevamento ed analisi. E’ ormai ben documentato che il PERG è precocemente alterato in corso di glaucoma e la sua ampiezza è ben correlata all’esistenza ed estensione di difetti perimetrici. La sua sensibilità è molto alta (superiore al 90%), anche se la sua specificità non lo è altrettanto, impedendone quindi l’uso come test di screening. Tuttavia può essere un prezioso complemento in caso di diagnosi precoce, soprattutto qualora il campo visivo risulti normale. Arden suggerisce che: un PERG normale rende improbabile l’esistenza di un difetto perimetrico, che è praticamente impossibile in presenza di due PERG normali in tempi successivi. - Qualora si ottengano risultati anormali in due successivi esami PERG anche in assenza di deficit perimetrici è altamente probabile l’esistenza di un danno glaucomatoso in fase infraclinica e che si renderà manifesto in futuro. - In un paziente sospetto glaucomatoso che mostri due successivi PERG normali è altamente improbabile che si manifesterà un difetto perimetrico almeno nei successivi 18 mesi. Anche i Potenziali Visivi Evocati da pattern possono essere utili in caso di glaucoma, si osserva infatti soprattutto un ritardo delle onde ed una loro riduzione di ampiezza. Tali alterazioni sono aspecifiche anche se discretamente sensibili (>85%) e pur avendo valore diagnostico inferiore rispetto rispetto alla perimetria automatizzata o alla perimetria blu su giallo possono risultare un prezioso ausilio diagnostico in caso di pazienti anziani poco collaboranti e che risultano poco attendibili alla perimetria. Altri esami psicofisici, sensibilità al contrasto, senso cromatico, sensibilità al movimento, possono essere praticati in caso di glaucoma , il loro uso tuttavia rimane limitato al campo sperimentale/scientifico e non interessa la pratica clinica di routine. Studio dell’Emodinamica A completamento del processo diagnostico del glaucoma dobbiamo menzionare lo studio dell’emodinamica bulbare, che ha acquistato crescente importanza soprattutto nelle forme di glaucoma a pressione normale (NTG), nella cui patogenesi fattori di tipo ischemico sembrano preponderanti. Le tecniche utilizzate per ottenere informazioni sulla circolazione intraoculare ed in particolare a livello della testa del nervo ottico di più comune utilizzazione clinica sono: a)Color Doppler Imaging utilizzando una sonda ad ultrasuoni e sfruttando l’equazione di Doppler e la correlata modificazione delle frequenze riflesse, si può calcolare la velocità del sangue in un vaso. Nota la velocità si può estrapolare il flusso ematico nei vasi esplorati, in particolare l’arteria centrale della retina che irrora le cellule ganglionari e lo strato delle fibre ; le arterie ciliari posteriori da cui originano i rami per lo strato laminare e prelaminare della papilla ; l’arteria oftalmica che fornisce il sangue a tutto il bulbo. Dal tracciato relativo ad un vaso si ricava una velocità di picco sistolico (PSV), una velocità di fine diastole (EDV) da cui si calcola l’indice di resistenza per quel vaso, secondo la formula R.I. = PSV – EDV / PSV (indice di resistività di Pourcelot). Questa metodica permette di studiare la resistenza al flusso nei vari distretti ematici bulbari e di apprezzarne le variazioni in risposta ad agenti terapeutici. Per esempio nei pazienti affetti da glaucoma a bassa pressione è stata dimostrata una condizione di vasospasmo a carico dell’arteria oftalmica che non è presente nei normali e che può essere eliminata dalla somministrazione di vasodilatatori. b)O.B.F. come già accennato parlando della tonografia, la misurazione del polso della pressione intraoculare legato al ciclo cardiaco può essere utilizzata per interpolare il flusso ematico oculare pulsatile. Il polso della pressione intraoculare deriva infatti dall’ingresso di una quantità di sangue nell’occhio durante la sistole, per lo più a livello coroideale e pertanto di pertinenza delle ciliari posteriori che irrorano anche il nervo ottico. La tecnica sfrutta la conversione del polso tonometrico in un polso volumetrico, che moltiplicato per la frequenza cardiaca ci dà il flusso oculare pulsatile. Le limitazioni di questa tecnica sono molteplici, può comunque fornire un indice di flusso ematico oculare. c)HRF La disponibilità degli scanning laser permette di eseguire una angiografia a fluorescenza o con verde di indocianina e calcolare numerosi parametri circolatori (tempo braccio-retina, tempo di passaggio artero-venoso, velocità di transito capillare a livello retinico e della testa del nervo ottico) nonché una vera e propria angiotomografia per uno studio tridimensionale della irrorazione della testa del nervo ottico. Test di provocazione Quando la sindrome glaucomatosa si presenta incompleta e manchi quindi la certezza diagnostica o qualora sussistano le caratteristiche anatomo-morfologiche predisponenti ma senza evidenti manifestazioni cliniche risulterebbe assai utile disporre di test in grado di segnalare con chiarezza i casi in cui il rischio di comparsa o progressione dell’otticopatia è particolarmente elevato. Poiché i fattori coinvolti sono molteplici altrettanto vari e numerosi sono i test proposti, tutti basati sul principio che l’occhio normale è in grado di mantenere la stabilità tensionale quando se ne alteri l’idrodinamica, mentre l’occhio glaucomatoso risponde a tali sollecitazioni con un aumento della PIO. Il limite di significatività per considerare positivo un test di provocazione è generalmente fissato in un aumento di PIO > 8 mmHg, la probabilità di un simile aumento nei normali è infatti inferiore all’1%. possiamo distinguere: a) test che modificano la produzione di acqueo test che modificano il deflusso di acqueo Tra i primi il più noto è il test del carico idrico, che consiste nel far bere un litro d’acqua in meno di 5’ e misurare la pressione intraoculare dopo 15 – 30 – 45 e 60 minuti. Il test è considerato positivo per un innalzamento della PIO > 8 mmHg, ma risulta poco sensibile e specifico soprattutto nelle fasi iniziali del glaucoma, quando la sua utilità sarebbe maggiore. Un altro test di provocazione di recente introduzione (da parte della Scuola romana) utilizza l’instillazione di Ibopamina al 2%, un agonista dopaminergico che provoca un aumento della produzione di acqueo per stimolazione dei recettori D1, della durata di 120-180 minuti. Questo aumento di flusso viene ben compensato dall’occhio normale, che non modifica significativamente la sua PIO, mentre negli occhi con disturbi dell’idrodinamica si crea una disparità tra produzione e deflusso e conseguente transitorio rialzo tonometrico. Anche in questo caso il test è da considerarsi positivo per aumenti di PIO > 8 mmHg. Tra i secondi , utili soprattutto per la valutazione dei glaucomi ad angolo stretto, ricordiamo: 1) Test della midriasi farmacologica: viene eseguito mediante instillazione di un cicloplegico fugace (tropicamide o ciclopentolato) seguita da controlli della PIO ogni 30’ per 2-3 ore. La media midriasi provoca la massima probabilità di blocco pupillare ed inoltre un affollamento dell’iride nell’angolo con conseguente rialzo tensionale, considerato significativo quando è superiore ad 8 mmHg. Anche negli occhi con angolo aperto si possono avere rialzi tensionali, generalmente di minore entità. Questo test è oggi oggetto di critiche per la sua pericolosità (rischio di scatenare un attacco acuto) e per la scarsa ripetitività. 2) La stessa premessa fisiopatologica è alla base del test del buio, che consiste nel tenere il paziente in camera oscura per un’ora, al termine della quale si misura la PIO: un incremento >8mmHg viene considerato significativo. Il test risulta positivo nel 30-50% dei glaucomi ad angolo stretto, ma solo nel 7-20% degli angoli stretti asintomatici. La positività è pressoché sempre eliminata dall’iridectomia basale, suggerendo che il meccanismo del rialzo tensionale sia un certo grado di blocco pupillare. E’ preferibile al test della midriasi sia per la maggior fisiologicità dello stimolo, sia per la più facile reversibilità in caso di eccessivo rialzo della PIO. 3) Test della posizione prona: consiste in una misurazione basale della PIO dopo la quale il paziente viene fatto sdraiare a faccia in giù con la testa appoggiata al dorso delle mani per almeno un’ora, dopo di che si misura nuovamente la PIO. Viene considerato positivo per aumenti > 8 mmHg. Il test è risultato più sensibile di quello del buio o della midriasi e si ritiene che indichi la tendenza al blocco pupillare e quindi l’utilità di un’iridectomia basale. L’associazione del test del buio e della posizione prona aumenta di molto la sensibilità, risultando positivo in oltre il 90% dei glaucomi da chiusura d’angolo. 4) Test della pilocarpina più fenilefrina: la stimolazione contemporanea dello sfintere pupillare e del dilatatore dell’iride ottenuta mediante instillazione ripetuta di fenilefrina al 10% e pilocarpina al 2%, massimizza la forza di contatto irido-lenticolare che predispone al blocco pupillare. Il test è considerato positivo per incrementi di PIO > 8 mmHg. Citiamo ancora il test al cortisone (desametazone) di Armaly, che si esegue somministrando desametazone 0,1% per 5 volte al dì per 3-6 settimane: viene considerato positivo quando provoca un aumento di PIO di 6-10 mmHg. Più che un vero test di provocazione è una sorta di dépistage dei soggetti geneticamente predisposti al glaucoma ad angolo aperto. Oltre allo studio dell’idrodinamica bulbare, test di provocazione possono essere usati anche per valutare l’emodinamica, in particolare in quelle forme in cui la patogenesi vascolare appare verosimile. a) Test di risposta al caldo e al freddo: esamina la risposta del sistema vascolare ad uno stimolo vasocostrittore (in particolare nei glaucomi a bassa pressione). Si esegue misurando il flusso ematico in un dito, mediante un flussimetro Doppler, prima e dopo avere immerso la mano in acqua fredda (4°C) per 10”. Nei glaucomi a bassa pressione esiste spesso una risposta vasospastica accentuata, che manca nei normali e nelle altre forme di glaucoma, a riprova del ruolo dello spasmo vascolare in queste forme di glaucoma. b) Test alla CO2: si fa respirare una miscela di CO2 al 20%, che ha una forte azione vasodilatatrice, e nel valutare la velocità del flusso ematico a mezzo di esame Color Doppler: circa il 70% dei pazienti con
glaucoma a bassa pressione mostra un miglioramento degli indici di flusso e di funzione visiva.
FARMACOLOGIA DEL GLAUCOMA

La farmacoterapia del glaucoma è tuttora dominata dai prodotti ad azione ipotonizzante, mentre solo
recentemente si è dato interesse ad un approccio non ipotonizzante per la terapia del glaucoma.
La maggioranza dei farmaci utilizzati per uso topico interviene sulla regolazione da parte del sistema
nervoso autonomo della produzione e deflusso dell’umore acqueo. Recentemente altre classi di farmaci si
sono aggiunte all’armamentario terapeutico, con risultati promettenti. Possiamo schematizzare i farmaci
antiglaucomatosi attualmente utilizzati nella seguente classificazione:
IPOTONIZZANTI
a)
Miotici parasimpaticomimetici (per uso topico) Diisopropillfluorofosfato b) Simpaticomimetici: 1) clonidina apraclonidina brimonidina c) Simpaticolitici: 1) levobunololo befunololo metipranololo d) 1) sistemici acetazolamide diclofenamide metazolamide etoxolamide 2) topici dorzolamide e) Latanoprost f) Osmotici Mannitolo Glicerolo Nimodipina Nifedipina Flunarizina Magnesio b) Miotici parasimpaticomimetici La pilocarpina è il più importante e paradigmatico farmaco di questa classe; è un miotico ad azione diretta, che stimola selettivamente i recettori muscarinici del muscolo liscio, determinando la contrazione dello sfintere pupillare e quindi miosi e del muscolo ciliare con accomodazione, spostamento in avanti del diaframma cilio-irido-lenticolare e trazione sullo sperone sclerale e trabecolato. I preparati per uso oftalmico contengono il farmaco in concentrazione dall’1 al 4%. La breve durata d’azione, circa 6 ore, richiede 3-4 somministrazioni al giorno. Si è cercato di ridurre tale necessità mediante l’inclusione in biopolimeri erodibili (Ocusert) o in gel acquosi a rilascio graduale. L’azione ipotonizzante della pilocarpina è legata alla contrazione del muscolo ciliare che è inserito anteriormente sullo sperone sclerale: la trazione si trasmette al trabecolato e causa allargamento degli spazi intertrabecolari , con aumento della facilità al deflusso. L’indicazione principale della pilocarpina è il glaucoma cronico ad angolo aperto, in associazione ai beta bloccanti o in monoterapia. Viene utilizzata anche nelle forme ad angolo stretto in quanto l’azione miotica previene l’affollamento dell’iride nell’angolo, nonché per sbloccare la midriasi in corso di glaucoma acuto da chiusura d’angolo, in associazione agli osmotici ed agli inibitori dell’anidrasi carbonica. Occorre tuttavia una certa cautela nell’uso della pilocarpina in caso di camera anteriore molto bassa in quanto, soprattutto alle più alte concentrazioni, provoca spostamento in avanti del complesso irido-lenticolare, riducendo ulteriormente la camera anteriore; inoltre la miosi determina l’incremento della forza di adesione tra iride e cristallino a livello peripupillare, inducendo un certo grado di blocco pupillare funzionale, che può col tempo diventare anatomico, per la comparsa di vere aderenze irido-lenticolari e seclusio della pupilla. La pilocarpina provoca inoltre miopizzazione per la attivazione dell’accomodazione e riduce l’adattamento al buio a causa della miosi, effetti che la rendono poco gradita ai pazienti soprattutto giovani e con vita lavorativa attiva. Azioni ed effetti collaterali della pilocarpina sono comuni a tutti gli altri miotici parasimpaticomimetici. Simpaticomimetici alfa e beta stimolanti L’adrenalina è utilizzata per la terapia del glaucoma sin dagli anni ’20. Si tratta di un agonista non selettivo alfa e beta adrenergico e la sua azione è quindi la somma dell’attivazione di tutti i recettori adrenergici oculari. Il suo meccanismo d’azione sulla PIO non è univocamente accettato, pur sembrando la risultante di un’azione bifasica: la stimolazione alfa adrenergica provoca vasocostrizione ciliare e riduzione della ultrafiltrazione e quindi della produzione di acqueo; la stimolazione beta a livello angolare provoca un aumento della facilità di deflusso sia a livello uveosclerale che trabecolare secondario all’attivazione dell’adenilociclasi e produzione di c-AMP. Effetti collaterali sono la midriasi (effetto alfa) che ne controindica l’uso in caso di angolo stretto potenzialmente occludibile, l’iperemia congiuntivale e la iperpigmentazione congiuntivale che compare dopo uso prolungato; è descritta una maculopatia con edema cistoide che compare soprattutto in pazienti afachici trattati con adrenalina. La constatazione di effetti collaterali a carico del segmento posteriore apre dei dubbi su un possibile effetto vasocostrittore che potrebbe interferire con l’irrorazione della testa del nervo ottico da parte delle arterie ciliari posteriori. L’instillazione protratta di adrenalina o dei suoi derivati provoca uno stato di attivazione cellulare della congiuntiva che peggiora la prognosi in caso di intervento fistolizzante. Queste considerazioni spiegano perché si faccia un uso progressivamente minore dell’adrenalina e del suo profarmaco dipivefrina. Alfa due stimolanti: si tratta di una classe di molecole (imidazoline) il cui prototipo è la clonidina, che hanno affinità selettiva per il recettore alfa-2 adrenergico. La stimolazione dei recettori alfa-2 presinaptici della giunzione post-gangliare adrenergica produce una riduzione della liberazione di noradrenalina a livello sinaptico, metre i recettori alfa-2 post-sinaptici sono accoppiati ad una proteina-G inibitoria che inibisce l’adenilociclasi e la produzione di c-AMP. Pertanto gli alfa-2 stimolanti riducono la produzione di acqueo. Il rilievo di valori di PIO molto bassi in occhi trattati con alfa-2 agonisti (addirittura al di sotto del livello di pressione delle vene episclerali) ha fatto ipotizzare altri meccanismi come l’attivazione del deflusso uveo-sclerale, mediata dalla produzione di prostaglandine, o una vasocostrizione con riduzione del flusso ematico al corpo ciliare (effetto alfa-1) e quindi riduzione dell’ultrafiltrazione. La clonidina è stato il primo alfa-2 agonista introdotto in terapia, prima allo 0,25% e poi allo 0,125%; il suo effetto ipotonizzante è soddisfacente, ma provoca ipotensione sistemica in un’elevata percentuale di casi. L’apraclonidina, di recente introdotta in Italia, è un derivato amino-sostituito della clonidina di cui risulta assai meno lipofilica, passa con maggior difficoltà la barriera emato-encefalica provocando minori effetti collaterali sistemici. L’apraclonidina, tuttavia, è scarsamente alfa-2 selettiva e provoca anche un’attivazione dei recettori alfa-1 con sbiancamento della congiuntiva e midriasi ; inoltre provoca con una certa frequenza reazioni allergiche e/o di intolleranza locale. Il suo uso accettato, alle concentrazioni dello 0,5 e 1,0%, è oggi limitato alla prevenzione o trattamento delle puntate ipertensive dopo laser trattamento del segmento anteriore (trabeculoplastica, iridotomia argon o YAG laser, capsulotomia posteriore) oppure come aggiunta alla terapia medica massimale per brevi periodi in preparazione all’intervento chirurgico. La Brimonidina è un altro alfa-2 agonista con spiccata selettività alfa-2, che quindi non presenta significativi effetti collaterali oculari osistemici e che si prospetta efficace non solo per il trattamento a breve termine come l’apraclonidina, ma anche per la terapia del glaucoma cronico. Alfa-simpaticolitici: la timoxamina e soprattutto il dapiprazolo possiedono attività alfa adrenolitica; somministrati per via topica raggiungono la camera anteriore e inibiscono l’azione del muscolo dilatatore dell’iride, cui consegue una media miosi per prevalenza dello sfintere pupillare, senza modificazioni di profondità della camera anteriore e senza effetti accomodativi. Gli usi clinici prevedono la prevenzione del glaucoma da chiusura d’angolo, nonché la reversione della midriasi diagnostica in particolare se ottenuta con midriatici simpatico-mimetici (fenilefrina). Interessante sembra la proposta di associare il dapiprazolo al trattamento con beta bloccanti al fine di sfruttare l’azione alfa litica per ottenere un aumento del flusso ematico oculare ed antagonizzare il rischio di una riduzione di flusso causata dal blocco dell’azione beta adrenergica (vasodilatatrice) sui vasi ciliari posteriori. Il principale effetto collaterale di questi farmaci è una iperemia congiuntivale associata a sensazione di bruciore. Beta bloccanti: i farmaci beta bloccanti sono una famiglia di molecole accomunate dalla capacità di legarsi al recettore beta adrenergico, inibendolo e rendendolo indisponibile per rispondere al fisiologico segnale umorale. Le molecole utilizzate in clinica sono numerose e si distinguono in base alla selettività, cioè la capacità di inibire più o meno selettivamente i recettori Beta-1 o Beta-2; alla presenza di attività simpatico-mimetica intrinseca, cioè la capacità di fornire una piccola quota di stimolazione del recettore cui si legano; alla maggiore o minore lipofilia che ne condiziona le caratteristiche di assorbimento e biodisponibilità; alla attività stabilizzante di membrana (chinidino-simile). La loro efficacia sulla pressione intraoculare è legata alla riduzione della produzione di umore acqueo, attraverso il blocco della stimolazione adrenergica sui recettori beta (ed in particolare beta-2) del corpo ciliare. L’inibizione del recettore beta provoca una minore attività del complesso adenilociclasi di membrana e quindi una minore produzione di c-AMP e di conseguenza di umore acqueo. Alcuni Autori ipotizzano anche che la abolizione del tono beta-adrenergico vasale provochi una vasocostrizione del circolo ciliare anteriore con riduzione della filtrazione. I beta bloccanti si sono rivelati assai efficaci nel ridurre la PIO e privi di significativi effetti collaterali oculari, per cui si sono rapidamente imposti come trattamento di prima scelta in tutte le forme di glaucoma, in particolare il glaucoma cronico ad angolo aperto. Va sottolineato che esiste un ciclo circadiano della produzione di acqueo e quindi della PIO, dovuto a variazioni del tono adrenergico: l’azione dei beta bloccanti è conseguentemente massima nelle ore diurne, mentre si riduce grandemente di notte. Qualora l’azione del beta bloccante non sia sufficiente si può praticare un’associazione con altre classi di farmaci: la pilocarpina è classicamente il primo farmaco di associazione anche se oggi si tende ad utilizzare sempre di più gli inibitori dell’anidrasi carbonica per via topica. E’ possibile anche l’associazione con un alfa-2 agonista (apraclonidina, brimonidina) o con le prostaglandine recentemente introdotte. Possibile e in passato assai utilizzata l’associazione con i simpaticomimetici (epinefrina, dipivefrina), che è oggi sempre più guardata con sospetto per il rischio di effetti vasocostrittori (beta-blocco più alfa-stimolo) e di riduzione della perfusione della testa del nervo ottico. E’ stata suggerita in alternativa l’associazione con l’alfa bloccante dapiprazolo, proprio per antagonizzare i possibili effetti vascolari dei beta bloccanti sul segmento posteriore. Effetti collaterali locali compaiono con scarsa frequenza e consistono in un’attività anestetica locale sulla cornea, con possibile cheratite puntata; in reazioni allergiche o di ipersensibilità e soprattutto nella riduzione della secrezione lacrimale. Effetti sistemici legati all’instillazione del farmaco sono soprattutto a carico dell’apparato respiratorio (broncospasmo) per blocco dei recettori beta-2 bronchiali; bradicardia e riduzione della contrattilità miocardica, con facilitazione di alcune aritmie, per blocco beta-1 a livello cardiaco. Più raramente sono riportate reazioni neurologiche da effetto centrale. I betabloccanti disponibili per uso topico sono numerosi: il timololo, che è un betabloccante non selettivo, non dotato di ASI, è il più noto ed usato e costituisce il punto di riferimento sia per la classe dei betabloccanti, sia per l’intera terapia medica ipotonizzante. E’ disponibile in concentrazione allo 0,25 o 0,50% ed anche in soluzione gelificante (gel rite) per l’uso in monosomministrazione. Il betaxololo è l’unico beta-1 selettivo disponibile; il carteololo ed il befunololo sono dotati di attività simpatico-mimetica intrinseca; il levobunololo ed il metipranololo sono non selettivi e senza ASI. Inibitori dell’anidrasi carbonica: introdotti in terapia dal 1954 sono chimicamente delle sulfonamidi, possiedono cioè un gruppo SO2-NH2 legato ad un radicale aromatico. La loro azione è di inibizione dell’anidrasi carbonica che catalizza la reazione H2O + CO2 = HCO3- + H+, di fondamentale importanza per la secrezione di bicarbonati, che è una tappa essenziale della produzione di umore acqueo. Sono farmaci estremamente efficaci in quanto oltre il 99% dell’enzima deve essere inibito per ottenere un effetto clinicamente percepibile; la somministrazione per via sistemica ottiene riduzioni del flusso acqueo di circa il 50%. Le molecole utilizzate in clinica sono l’Acetazolamide, capostipite del gruppo, somministrato alla dose di 250-1000 mg/die per via orale o e.v.; la Diclofenamide efficace a dosaggi inferiori (100-50 mg/die) e le più potenti Metazolamide ed Etossizolamide. Le indicazioni comprendono qualsiasi tipo di ipertono, sia in fase acuta per stroncare un glaucoma acuto da chiusura d’angolo, sia in fase cronica per compensare ipertoni non adeguatamente controllati dalla terapia topica. Stante il peculiare meccanismo d’azione possono essere associati a qualsiasi altra classe di ipotonizzanti con effetto additivo. La disponibilità di prodotti esclusivamente per uso sistemico ne ha fino ad oggi limitato il ruolo ad una terapia di associazione di durata generalmente limitata a causa della comparsa di importanti effetti collaterali sistemici: parestesie delle estremità, sensazione di malessere, formicolii, nausea, astenia, alterata funzionalità renale con calcolosi, turbe gastro-intestinali, diarrea, dimagrimento, stato depressivo e calo della libido, raramente reazioni ematologiche coc trombocitopenia o anemia aplastica. La grande efficacia degli inibitori dell’anidrasi carbonica (IAC) ha da tempo stimolato la ricerca di preparati per uso topico in modo da ridurne gli effetti collaterali, ricerca ostacolata soprattutto dalla natura altamente polare delle sulfonamidi che ne limita il passaggio trans-corneale. La soluzione è stata resa possibile dalla messa a punto di tieno-tiopiran-2-sulfonamidi con migliori caratteristiche farmacocinetiche per somministrazione topica. La dorzolamide è il primo di questi farmaci ad avere superato la fase sperimentale ed è stata di recente introdotta sul mercato. I primi trial clinici hanno confermato la capacità della dorzolamide topica (2-3 somministrazioni al giorno) di ridurre la PIO inibendo l’anidrasi carbonica e quindi la produzione di acqueo; sia in monoterapia sia in associazione ai betabloccanti. Interessante appare il dato che la dorzolamide per uso topico avrebbe effetti sulla circolazione retino-coroideale, riducendo le resistenze ed aumentando la velocità di flusso a livello dell’arteria centrale retinica, riducendo il tempo di circolo intraretinico. Gli effetti collaterali sono soprattutto locali: irritazione e lacrimazione al momento dell’instillazione, senso di corpo estraneo, raramente reazioni di tipo allergico tali da costringere alla sospensione. Assai scarse le reazioni avverse sistemiche, limitate a modesti disturbi gastro-enterici. Un altro componente di questa classe, la sezolamide, è in fase di avanzata sperimentazione. Gli inibitori topici dell’anidrasi carbonica si propongono quale alternativa ai miotici come primo farmaco di associazione ai betabloccanti o addirittura farmaco di prima scelta qualora questi ultimi fossero controindicati (asma, scompenso cardiaco). Analoghi delle prostaglandine (PGF2alfa): a livello oculare le prostaglandine (PG) furono inizialmente individuate quali mediatori della flogosi e la ricerca si concentrò su prostaglandine e uveite e nello sviluppo di farmaci inibitori della loro azione. Più recentemente si è dimostrato che alcune PG possono ridurre la PIO e che il pretrattamento con inibitori della cicloossigenasi riduce l’azione ipotonizzante di alcuni farmaci. Le prostaglandine libere sono acidi deboli e non attraversano la cornea, mentre la esterizzazione con metile, etile o isopropile ne migliora nettamente la penetrazione oculare. Gli isopropil-esteri analoghi della PGF-2-alfa si sono rivelati efficaci nella riduzione del tono oculare, sia negli animali da esperimento che nell’uomo. In particolare il latanoprost (PhxA41) ha suerato la fase sperimentale ed è già disponibile per l’uso clinico: alla conentrazione dello 0, 005% riduce la PIO fino al 36% per una durata di circa 24 ore, cosa che permette la monosomministrazione. Il meccanismo d’azione sembra essere un aumento del deflusso uveo-sclerale divuto a modificazioni indotte sulla sostanza intercellulare del corpo ciliare. Gli effetti collaterali sono esclusivamente locali e consistono in iperemia congiuntivale nel 20-25% dei casi ed in una progressiva iperpigmentazione iridea per uso prolungato oltre tre mesi, visibile soprattutto negli occhi chiari. Sembra che si tratti di un fenomeno benigno, dovuto alla stimolazione della melanogenesi: è attualmente allo studio la reale entità ed il significato prognostico di questo fenomeno. Qualche perplessità sussiste anche sugli effetti dell’eventuale associazione di farmaci ad azione antiprostaglandinica. Pur con le dovute cautele, gli analoghi delle prostaglandine si prospettano potenzialmente come il nuovo farmaco di prima scelta per la terapia del glaucoma. Agenti osmotici: questo gruppo di farmaci si caratterizza per il meccanismo d’azione del tutto diverso dai precedenti. Somministrati per via sistemica, parenterale o per os, inducono un brusco aumento del potere osmotico del sangue, con richiamo di acqua dai vari tessuti e conseguente azione diuretica. A livello del bulbo oculare l’azione si esplica soprattutto sull’umore vitreo, con disidratazione e riduzione di volume cui si accompagna un’importante e rapida caduta della pressione intraoculare, senza modificare significativamente la produzione o il deflusso dell’umore acqueo. Gli osmotici hanno un’indicazione elettiva nel glaucoma acuto da chiusura d’angolo e più sporadicamente in tutte le condizioni glaucomatose caratterizzate da livelli pressori molto elevati e di cui si voglia un rapido (anche se transitorio) decremento. Il collasso della massa vitreale ottenuto con l’uso di agenti osmotici, oltre a ridurre direttamente la PIO, risolve il blocco pupillare e/o la chiusura dell’angolo diminuendo la spinta posteriore del diaframma irido-lenticolare che causano la crisi ipertensiva. La rapida riduzione del tono inoltre allevia lo stato di ischemia dello sfintere pupillare, rendendolo nuovamente sensibile all’azione dei miotici. I prodotti più utilizzati sono: a) glicerolo in soluzione al 50%, somministrato per via orale alla dose di 1,5-2,0 g/Kg di peso corporeo. Il massimo effetto ipotonizzante è dopo circa 60’ e dura circa 6 ore. Va usato con cautela nei diabetici, eventualmente insieme ad insulina. Una variante assai efficace è la somministrazione per via endovenosa di una soluzione di glicerolo al 30% e ascorbato di sodio al 20%, il dosaggio è di 2,0 cc per Kg di peso, l’azione è intensa ed assai rapida (entro 30’). b) Mannitolo: in soluzione al 20% per via endovenosa rapida. La dose media è di 8-10 cc/Kg di peso corporeo. Il mannitolo viene eliminato quasi completamente per via renale. L’effetto massimo si ha dopo un’ora. c) Urea: in soluzione al 30% per via endovenosa alla dose di 1-2 g/Kg di peso, infusione a 60 gocce al minuto.Effetto massimo dopo un’ora d) Isosorbide: per via endovenosa. Azione simile agli altri farmaci del gruppo. Terapia non ipotonizzante – Vie di progresso verso la neuroprotezione del nervo ottico Pur essendo ampiamente provato che la pressione intraoculare costituisce il principale fattore di rischio dell’otticopatia glaucomatosa, esistono inconfutabili indicazioni cliniche dell’esistenza di fattori non pressione-dipendenti che causano la progressione dell’atrofia. Questi fattori concomitano con l’ipertono in maniera proporzionalmente differente, assumendo verosimilmente un ruolo predominante in quei casi che evolvono nonostante un livello di PIO nei limiti normali o addirittura bassa. L’approccio terapeutico a questi fattori è tuttora ostacolato dall’imperfetta conoscenza degli esatti patogenetici, tuttavia estrapolando dai dati in nostro possesso possiamo tentare di tracciare alcune linee guida: a) Calcio antagonisti: sono stati già adoperati da alcuni anni a questa parte (in maniera empirica) per trattare il glaucoma a bassa pressione; in particolare i soggetti candidati a tale trattamento sono i pazienti in cui esistano fenomeni di vasospasmo periferico. Sia la nifedipina che la nimodipina sono state utilizzate a tale scopo. Anche il blocco dell’afflusso di calcio a livello intraneuronale può giocare un ruolo benefico in quanto limita la cascata di eventi che conduce dall’evento ischemico alla morte cellulare. Occorre tuttavia considerare nel bilancio terapeutico il potenziale effetto ipotensivante sistemico dei Ca-antagonisti (nifedipina) che potrebbe ridurre la pressione di perfusione della testa del nervo ottico. b) Inibitori del glutamato: è ormai noto che a livello del sistema nervoso centrale nella patogenesi del danno ischemico neuronale (così come dopo traumi ed in alcune affezioni degenerative) un ruolo importante viene ricoperto da alcuni aminoacidi eccitatori: tale processo va sotto il nome di eccitotossicità. Le eccitotossine , tra cui le più importanti sono il glutamato e il NMDA (N-Metil D2-Aspartato), sono importanti neurotrasmettitori della retina interna e sono presenti in elevate concentrazioni anche nelle cellule ganglionari, rendendo verosimile un loro coinvolgimento nei processi degenerativi neuronali in corso di glaucoma. L’esposizione di cellule ganglionari in coltura all’azione di glutamato e NMDA ed all’ipossia ha evidenziato un danno dose-dipendente che veniva completamente prevenuto da un inibitore competitivo del recettore NMDA. Inoltre le cellule ganglionari mostrano una sopravvivenza assai maggiore se coltivate in presenza di cellule di Muller che non di astrociti. Questi risultati mostrano che il danno ipossico ed eccitotossico è verosimile in corso di glaucoma e può essere nettamente ridotto dal blocco dei recettori NMDA e dalla presenza di cellule di Muller, sottolineando l’importanza del rapporto cellule ganglionari glia e prospettando addirittura un ruolo patogenetico di un deficit primitivo delle cellule di Muller. c) Heat Shock Proteins (proteine da shock termico): nell’ambito dei sistemi intrinseci di protezione delle cellule neuronali è probabile che le proteine da shock termico rivestano una particolare importanza. La produzione di HSP aumenta la tolleranza dei neuroni all’insulto ischemico; a livello retinico è stata dimostrata un’azione protettiva delle HSP verso il fototraumatismo sperimentale. Cellule ganglionari retiniche in coltura producono una HSP da 72 kilodalton dopo ipertermia, ipossia o esposizione al glutamato subletali e risultano successivamente più resistenti al danno da ipossia o da eccitotossine. Ciò suggerisce un ruolo protettivo delle HSP contro la necrosi delle cellule ganglionari retiniche per noxae ischemiche o eccitotossiche. d) Inibitori della ossido nitrico-sintetasi: l’ossido nitrico (NO) ha un’azione vasodilatatrice ed agisce in un certo senso quale neurotrasmettitore locale a livello cerebrale. Quando presente in concentrazioni sufficienti agisce come una potente neurotossina. Gli inibitori dell’ NO-sintetasi (a partire dall’arginina) possono proteggere i neuroni da questa tossina. Le cellule ganglionari in coltura sono assai meno sensibili al danno da anossia o da eccitotossine in presenza di inibitori della Na-sintetasi. e) Antiossidanti: dopo un insulto ischemico, l’alterato metabolismo cellulare comporta la comparsa o l’aumento di composti intermedi altamente reattivi detti radicali liberi, che reagiscono con proteine, lipidi di membrana e acidi nucleici provocando gravi danni alle cellule; possono inoltre favorire il rilascio di eccitotossine agendo così anche indirettamente. Nelle cellule esiste un sistema antiossidante basato sugli enzimi catalasi e superossido-dismutasi, nonché su sostanze che catturano i radicali liberi (“scavengers”). Un trattamento antiossidante può attivare il funzionamento dei sistemi enzimatici endogeni oppure fornire antiossidanti esogeni, come le vitamine C ed E o il glutatione. Un ultimo cenno riguarda la possibilità, ancora piuttosto futuribile, di una terapia genica o genetica, stimolando o introducendo con plasmidi i geni che bloccano l’apoptosi o che inducono la sintesi di HSP o dei
sistemi antiossidanti. Una vera terapia genetica sarà possibile una volta identificati i geni responsabili del
glaucoma inducendo o reprimendo i loci genici necessari.
In sintesi alcune misure di neuroprotezione sono già disponibili, latre possono diventarlo a breve termine;
per altre infine saranno necessari ancora lunghi studi e sperimentazioni.
FORME CLINICHE DI GLAUCOMA

Glaucoma da chiusura d’angolo
Definito anche glaucoma acuto, glaucoma congestizio, glaucoma in attacco, questo tipo di glaucoma è
determinato da una ostruzione organica o funzionale del deflusso dell’umore acqueo dalla camera anteriore
a livello del trabecolato. Si verifica quindi generalmente in occhi in cui la PIO è abitualmente normale ed il
filtro trabecolare funziona regolarmente ma con un angolo camerulare ristretto e quindi occludibile. La causa
primaria risiede quindi nella conformazione dell’angolo che appare gonioscopicamente ristretto per
l’anomala inserzione dell’iride sulla estremità anteriore del corpo ciliare; i fattori che causano la chiusura
dell’angolo con blocco improvviso del deflusso e lo scatenarsi della crisi improvvisa di ipertono sono quelli
che provocano uno spostamento anteriore del diaframma irido-lenticolare, un affollamento verso l’angolo
della radice iridea (midriasi), o un aumento della pressione in camera posteriore che spinge in avanti l’iride a
chiudere l’angolo in caso di più o meno completo blocco pupillare. E’ quindi una condizione “potenziale” in
tutti quegli occhi caratterizzati per cause malformative o acquisite da ristrettezza dell’angolo.
Epidemiologia: il glaucoma da chiusura d’angolo (GCA) costituisce il 10-14% di tutti i glaucomi, con
un’incidenza razziale nettamente più elevata tra i caucasici che tra i camitici o nella razza nera. E’ una
condizione bilaterale anche se non necessariamente simmetrica e predilige il sesso femminile (F:M=3:1). La
sua base. Di tipo malformativo ne rende verosimile una trasmissione ereditaria anche se i caratteri di tale
ereditarietà non sono univoci e depongono per una trasmissione multifattoriale. La crisi acuta di chiusura
d’angolo esordisce generalmente nell’età media (5° decade) e la sua incidenza aumenta con il progredire
dell’età, verosimilmente in parallelo all’aumento fisiologico del volume del cristallino o alla sua intumescenza
per cataratta.
Come accennato la patogenesi del glaucoma acuto sta soprattutto nelle caratteristiche strutturali del
segmento anteriore. I dati biometrici che predispongono alla chiusura d’angolo sono:
a)
un diametro corneale minore della norma, con un raggio di curvatura (anteriore o posteriore) Una profondità ridotta della camera anteriore (< 2 mm) Un cristallino più grosso della norma o posto più anteriormente Un ridotto raggio di curvatura anteriore del cristallino, con aspetto più globoso della faccia anteriore Un asse antero-posteriore del bulbo oculare più corto della norma Molte di queste condizioni si verificano negli ipermetropi di 3 o più diottrie. La disponibilità dell’ultrabiomicroscopia ad ultrasuoni del segmento anteriore consente oggi la misurazione diretta di questi valori e la messa a punto di indici prognostici del rischio di chiusura d’angolo. I principali parametri biometrici sono: - la profondità della camera anteriore (ACD) l’ampiezza dell’angolo irido-corneale (in gradi) distanza trabecolato-processi ciliari (TCPD) distanza fra iride e corpi ciliari (ICPD) rapporto spessore della lente/lunghezza assiale del bulbo. Quest’ultimo sembra essere il parametro che più di ogni altro indica con precisione il rischio di sviluppare una crisi di glaucoma acuto. I fattori scatenanti la chiusura dell’angolo sono diversi ed agiscono con differenti meccanismi: - la midriasi, che rende più spessa ed avanzata la radice dell’iride, spingendola a chiudere l’angolo, specialmente se si instaura rapidamente per azione farmacologica (midriasi diagnostica) o per fenomeni naturali come il buio o l’emozione. - La congestione del corpo ciliare, che sposta in avanti la radice iridea Il blocco pupillare che può stabilirsi funzionalmente per apposizione tra cristallino e collaretto irideo a causa della miosi o dell’intumescenza o avanzamento del cristallino e che impedisce il transito dell’umore acqueo verso la camera anteriore, provoca un aumento di pressione in camera posteriore che spinge in avanti l’iride (iride bombé) con conseguente chiusura dell’angolo. Forme cliniche e sintomatologia a) Glaucoma da chiusura d’angolo intermittente: si definisce tale la comparsa di ripetuti brevi episodi di chiusura d’angolo con innalzamento della PIO (anche a valori assai elevati) e modesti sintomi soggettivi, che si risolvono spontaneamente. Il singolo episodio trae origine di solito dalla midriasi da buio o emozionale o da eccessivo affaticamento accomodativo e si risolve col cessare della midriasi o della contrazione ciliare; compare più spesso alla sera ed è in genere del tutto scomparso al mattino. Il paziente lamenta annebbiamento visivo, fugace visione di aloni colorati e dolenzia bulbare irradiata al sopracciglio e alla fronte. Durante la crisi l’occhio non appare iperemico o congesto, mentre la cornea è alitata o francamente edematosa, la PIO è assai elevata. Si possono eseguire dei test di provocazione (buio, midriasi) che in questi casi causano un aumento della PIO di 8-10 mmHg (test positivo), sia pur con qualche rischio di scatenare un vero glaucoma acuto. Fra un episodio e l’altro la sintomatologia è di solito del tutto assente e la PIO può essere perfettamente normale, l’obiettività mostra un bulbo in quiete, solo la gonioscopia evidenzia la ristrettezza ed occludibilità dell’angolo con frequenti sinechie anteriori, più o meno estese a seconda del numero di episodi pregressi. La forma intermittente col ripetersi delle poussées tende ad evolvere verso la forma cronica da chiusura d’angolo o più spesso sfocia in un vero glaucoma acuto. b) Galucoma acuto da chiusura d’angolo (attacco di glaucoma): quasi sempre unilaterale è caratterizzato da un rapidissimo incremento della PIO fino a valori assai elevati (>60mmHg) a causa della completa ed improvvisa chiusura dell’angolo. Spesso la crisi acuta è preceduta da episodi intermittenti prodromici, ma può insorgere improvvisamente “a ciel sereno”, più frequentemente nelle ore notturne o all’alba. Il blocco pupillare totale si verifica più frequentemente quando la pupilla è in media midriasi (da 3,5 a 6 mm): in questa condizione la forza del blocco pupillare e l’affollamento della radice iridea nell’angolo concorrono a determinare la chiusura improvvisa delle vie di deflusso. I fattori scatenanti più comuni includono lo stress emotivo, traumi l’intensa concentrazione, e la dilatazione emozionale o farmacologica della pupilla. La sintomatologia è dominata dal dolore oculare, lancinante o gravativo, irradiato all’orbita ed all’emicranio corrispondente, accompagnato da sintomi vagali: vomito, nausea, bradicardia, sudorazione. L’aumento della PIO comporta edema corneale con calo visivo, fotofobia, lacrimazione, edema palpebrale, blefarospasmo. L’occhio si presenta congesto, con congiuntiva rosso-livido e tipica iniezione pericheratica; la cornea è alitata opaca ed ispessita per l’edema, la camera anteriore è assai ridotta, a volte abolita nella regione medioperiferica, con iride in media midriasi fissa ed irregolare (spesso ovalare) lievemente bombata fino ad entrare in contatto con l’endotelio. L’iride presenta zone caratteristiche di depigmentazione stromale; anche il cristallino è coinvolto con una intumescenza che lo rende opalescente e se l’attacco non viene sbloccato interviene rapidamente un’evoluzione francamente catarattosa. Tyndall e cellularità dell’acqueo offrono un quadro di reazione flogistica in camera anteriore. Il fondo è raramente leggibile per le condizioni dei diottri, ma la papilla è generalmente non escavata ed anzi piuttosto iperemica e congesta. Una occlusione della vena centrale retinica causata dall’ipertono acuto può complicare il quadro. Col ripetersi delle crisi può subentrare una atrofia ottica con escavazione. La PIO è sempre molto elevata e solo eccezionalmente può diminuire in assenza di una tempestiva terapia specifica. La gonioscopia, quando possibile per le condizioni corneali, mostra un angolo chiuso e non apribile anche con manovre di compressione. Se l’attacco non è rapidamente risolto, la midriasi diventa del tutto irreversibile per atrofia dello sfintere, si creano sinechie anteriori periferiche che rendono impossibile un ritorno alla normale filtrazione, si crea una cataratta intumescente ed una rapida atrofia ottica, con danno visivo del tutto irreversibile entro poche settimane. c) Glaucoma cronico da chiusura d’angolo: è meno frequente e caratterizzato dalla presenza di sinechie anteriori periferiche che occludono tratti più o meno estesi di angolo. Due meccanismi possono condurre a questa evoluzione cronica: comparsa di un blocco pupillare relativo con bombatura anteriore dell’iride e chiusura dell’angolo per apposizione prima reversibile, poi definitiva; il secondo meccanismo è più comune nelle iridi scure e consiste in una progressiva apposizione cronica della radice iridea nel recesso angolare, con un aspetto gonioscopico che simula un’inserzione più anteriore dell’iride stessa e progressiva perdita di capacità filtrante. I sintomi soggettivi sono piuttosto scarsi, mentre i segni oggettivi sono quelli del glaucoma ad angolo aperto: ipertono, escavazione papillare, deficit del campo visivo, mentre sono del tutto assenti i sintomi congestizi. Un caso particolare è quello dell’iride “a plateau”, ove sussiste una conformazione angolata della radice iridea, che si inserisce sulla faccia anteriore del corpo ciliare con direzione inizialmente anteriore, parallela alla faccia interna corneale per poi piegare centralmente, per cui si ha un’iride piatta ed una profondità centrale della camera anteriore normale, pur in presenza di un recesso angolare assai ristretto e facilmente occludibile. Questa peculiare struttura anatomica rende ragione del persistente rischio di attacco acuto, spesso anche dopo l’esecuzione di una iridectomia basale. d) Glaucomi da chiusura d’angolo secondari: indotto da miotici: un prolungato trattamento con miotici in occhi con angolo ristretto può portare alla creazione di sinechie posteriori e blocco pupillare con chiusura d’angolo secondaria 2) glaucoma acuto facogenico: il rigonfiamento progressivo del cristallino può provocare un

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