Folgore da San Gimignano
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QUESTO E-BOOK: TITOLO: Sonetti AUTORE: Folgore da San Gimignano TRADUTTORE: CURATORE: Giovanni Caravaggi NOTE: gli accenti acuti di alcune vocali presenti nel testo sono conformi all'edizione di riferimento. DIRITTI D'AUTORE: no LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ TRATTO DA: "Sonetti" di Folgore da San Gimignano collana: Collezione di poesia a cura di Giovanni Caravaggi Torino : Einaudi, 1965 prima edizione. CODICE ISBN: informazione non disponibile 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 12 ottobre 1996 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Raffaele Frattarolo, [email protected] REVISIONE: Raffaele Frattarolo, [email protected] PUBBLICATO DA: Alberto Barberi
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Sonetti Sonetti per l'armamento di un cavaliere
I (Introduzione) Ora si fa un donzello cavalieri; e' vuolsi far novellamente degno, e pon sue terre e sue castell'a pegno per ben fornirsi di ciò ch'è mistieri: annona, pane e vin dà a' forestieri, manze, pernici e cappon per ingegno; donzelli e servidori a dritto segno, camere e letta, cerotti e doppieri; e pens'a molti affrenati cavagli, armeggiatori e bella compagnia, aste, bandiere, coverte e sonagli; ed istormenti con gran baronia, e giucolar per la terra guidàgli, donne e donzelle per ciascuna via. II Prodezza Ecco Prodezza, che tosto lo spoglia e dice: «Amico, e' convien che tu mudi, per ciò ch'i' vo' veder li uomini nudi e vo' che sappi non abbo altra voglia; e lascia ogni costume che far soglia, e nuovamente t'affatichi e sudi; se questo fai, tu sarai de' miei drudi pur che ben far non t'incresca né doglia». E quando vede le membra scoperte, immantinente sí le reca in braccio dicendo: «Queste carni m'hai offerte;
i' le ricevo e questo don ti faccio, acciò che le tue opere sien certe: che ogni tuo ben far già mai non taccio».
III Umiltà Umilità dolcemente il riceve, e dice: «Punto non vo' che ti gravi, ch'e' pur convien ch'io ti rimondi e lavi, e farotti piú bianco che la neve; e intendi quel ched io ti dico breve, ch'i' vo' portar dello tuo cor le chiavi, ed a mio modo converrà che navi, ed io ti guiderò sí come meve. Ma d'una cosa far tosto ti spaccia, ché tu sai che soperbia m'è nimica: che piú con teco dimoro non faccia. I' ti sarabbo cosí fatta amica ch'e' converrà ch'a tutta gente piaccia; e cosí fa chi di me si notrica». IV Discrezïone Discrezïone incontanente venne e sí l'asciuga d'un bel drappo e netto, e tostamente sí 'l mette in sul letto di lin, di seta, coverture e penne; or ti ripensa: infino al dí vi 'l tenne con canti, con sonare e con diletto; accompagnollo, per farlo perfetto, di nuovi cavalier, che ben s'avvenne. Poi disse: «Lieva suso immantinente, ch'e' ti convien rinascere nel mondo, e l'ordine che prendi tieni a mente». Egli ha tanti pensier, che non ha fondo, del gran legame dov'entrar si sente, e non può dire: «A questo mi nascondo». V Allegrezza Giunge Allegrezza con letizia e festa, tutta fiorita che pare un rosaio; di lin, di seta, di drappo e di vaio allor li porta bellissima vesta, vetta, cappuccio con ghirlanda in testa, e sí adorno l'ha che pare un maio; con tanta gente che trema il solaio; allor sí face l'opra manifesta. E ritto l'ha in calze ed in pianelle, borsa, cintura inorata d'argento, che stanno sotto la leggiadra pelle; cantar, sonando ciascuno stormento, mostrando lui a donne ed a donzelle e quanti sono a questo assembramento. Sonetti della «Semana»
VI (Dedica) I' ho pensato di fare un gioiello, che sia allegro, gioioso ed ornato, e sí 'l vorrei donare in parte e lato, ch'ogn'uomo dica: «E' li sta ben, è bello!» E or di nuovo ho trovato un donzello saggio, cortese e ben ammaestrato, ché li starebbe me' l'imperïato che non istà la gemma nell'anello: Carlo di misser Guerra Cavicciuoli, quel ch'è valente ed ardito e gagliardo, e servente, comandi chi che vuoli; leggero piú che lonza o lïopardo, e mai non fece dei denar figliuoli, ma spende piú che 'l marchese lombardo. VII Lunidie Quando la luna e la stella dïana e la notte si parte e 'l giorno appare, vento leggero, per polire l'are e far la gente stare allegra e sana; il lunedí, per capo di semana, con istormenti mattinata fare, ed amorose donzelle cantare, e 'l sol ferire per la meridiana. Lèvati sú, donzello, e non dormire, ché l'amoroso giorno ti conforta e vuol che vadi tua donna a servire. Palafreni e destrier sieno alla porta, donzelli e servitor con bel vestire: e poi far ciò ch'Amor comanda e porta. VIII Martidie E 'l martedí li do un nuovo mondo: udir sonar trombetti e tamburelli, armar pedon, cavalieri e donzelli, e campane a martello dicer: «don do»; e lui primiero e li altri secondo, armati di loriche e di cappelli, veder nemici e percuotere ad elli, dando gran colpi e mettendoli a fondo; destrier vedere andare a vuote selle, tirando per lo campo lor segnori, e strascinando fegati e budelle; e suonare a raccolta trombatori e sufoli, flaúti e ciramelle, e tornare alle schiere i feritori. IX Mercoredie Ogni mercoredí corredo grande di lepri, starne, fagiani e paoni, e cotte manze ed arrosti capponi,
e quante son delicate vivande; donne e donzelle star per tutte bande, figlie di re, di conti e di baroni, e donzellette e giovani garzoni servir portando amorose ghirlande; coppe, nappi, bacin d'oro e d'argento, vin greco di riviera e di vernaccia, frutta, confetti quanti li è 'n talento, e presentarvi uccellagioni e caccia; e quanti sono a suo ragionamento sí sieno allegri e con la chiara faccia.
X Giovedie Ed ogni giovedí tornïamento, e giostrar cavalier ad uno ad uno, e la battaglia sia 'n luogo comuno, a cinquanta e cinquanta, e cento e cento. Arme, destrieri e tutto guarnimento, sien d'un paraggio addobbati ciascuno; da terza a vespro, passato 'l digiuno: allora si conosca chi ha vento. E poi tornare a casa alle lor vaghe, ove seranno i fin letti soprani; e' medici fasciar percosse e piaghe, e le donne aitar con le lor mani; e di vederle sí ciascun s'appaghe, che la mattina sien guariti e sani. XI Venerdie Ed ogni venerdí gran caccia e forte: veltri, bracchetti, mastini e stivori, e bosco basso miglia di staiori, là ove si troven molte bestie accorte, che possano veder, cacciando, scorte: e rampognare insieme i cacciatori, cornando a caccia presa i cornatori: ed allor vemgan molte bestie morte.
E poi recogliere i cani e la gente, e dicer: «L'amor meo manda a cotale». «Alle guagnele, serà bel presente!» «Ei par che i nostri cani avesser ale!» «Te', te', Belluccia, Picciuolo e Serpente, ché oggi è 'l dí della caccia reale!»
XII Sabato die E 'l sabato diletto ed allegrezza in uccellare e volar di falconi, e percuotere grue, ed alghironi iscendere e salire in grand'altezza; ed all'oche ferir per tal fortezza che perdan l'ale, le cosce e' gropponi; corsieri e palafren mettere a sproni, ed isgridar per gloria e per baldezza. E poi tornare a casa e dire al cuoco: «To' queste cose e acconcia per dimane, e pela, taglia, assetta e metti a' fuoco; ed abbie fino vino e bianco pane, ch'e' s'apparecchia di far festa e giuoco: fa che le tue cucine non sian vane!» XIII Domenica die Alla dimane, all'apparer del giorno venente, che domenica si chiama, qual piú li piace, damigella o dama, abbiane molte che li sien d'attorno; in un palazzo dipinto ed adorno ragionare con quella che piú ama; qualunche cosa che desia e brama, venga in presente senza far distorno. Danzar donzelle, armeggiar cavalieri, cercar Firenze per ogni contrada, per piazze, per giardini e per verzieri; e gente molta per ciascuna strada,
e tutti quanti il veggian volentieri: ed ogni dí di ben in meglio vada.
Sonetti dei «Mesi»
XIV (Dedica alla brigata) Alla brigata nobile e cortese, in tutte quelle parti dove sono, con allegrezza stando sempre dono, cani e uccelli e danari per ispese, ronzin portanti e quaglie a volo prese, bracchi levar, correr veltri a bandono: in questo regno Nicolò incorono, perch'elli è 'l fior della città sanese; Tingoccio e Min di Tingo ed Ancaiano, Bartolo e Mugàvero e Fainotto, che paiono figliuol del re Prïàno, prodi e cortesi piú che Lancilotto, se bisognasse, con le lance in mano farian tornïamenti a Camellotto. XV Di gennaio I' doto voi del mese di gennaio corte con fuochi di salette accese, camere e letta d'ogni bello arnese, lenzuol di seta e copertoi di vaio, treggea, confetti e mescere a razzaio, vestiti di doagio e di racese; e 'n questo modo stare alle difese, muova scirocco, garbino e rovaio; uscir di fuor alcuna volta il giorno, gittando della neve bella e bianca alle donzelle che saran d'attorno; e, quando la compagna fosse stanca,
a questa corte facciasi ritorno, e sí riposi la brigata franca.
XVI Di febbraio E di febbraio vi dono bella caccia di cerbi, cavrïuoli e di cinghiari, corte gonnelle con grossi calzari, e compagnia che vi diletti e piaccia; can da guinzagli e segugi da traccia, e le borse fornite di danari, ad onta degli scarsi e degli avari, o chi di questo vi dà briga e 'mpaccia; e la sera tornar co' vostri fanti carcati della molta salvaggina, avendo gioia ed allegrezza e canti; far trar del vino e fumar la cucina, e fin al primo sonno star razzanti; e poi posar infin' alla mattina. XVII Di marzo Di marzo sí vi do una peschiera di trote, anguille, lamprede e salmoni, di dentici, dalfini e storïoni, d'ogn'altro pesce in tutta la riviera; con pescatori e navicelle a schiera e barche, saettíe e galeoni, le qual vi portino a tutte stagioni a qual porto vi piace alla primiera: che sia fornito di molti palazzi, d'ogn'altra cosa che vi sie mestiero, e gente v'abbia di tutti sollazzi. Chiesa non v'abbia mai né monistero: lasciate predicar i preti pazzi, ché hanno assai bugie e poco vero. XVIII D'aprile D'april vi dono la gentil campagna tutta fiorita di bell'erba fresca; fontane d'acqua, che non vi rincresca, donne e donzelle per vostra compagna; ambianti palafren, destrier di Spagna, e gente costumata alla francesca cantar, danzar alla provenzalesca con istormenti nuovi d'Alemagna. E d'intorno vi sian molti giardini, e giacchito vi sia ogni persona; ciascun con reverenza adori e 'nchini a quel gentil, c'ho dato la corona de pietre prezïose, le piú fini c'ha 'l Presto Gianni o 'l re di Babilona. XIX Di maggio Di maggio sí vi do molti cavagli, e tutti quanti sieno affrenatori, portanti tutti, dritti corritori; pettorali e testiere di sonagli, bandiere e coverte a molti intagli e di zendadi di tutti colori; le targe a modo delli armeggiatori; vïuole e rose e fior, ch'ogn'uom v'abbagli; e rompere e fiaccar bigordi e lance, e piover da finestre e da balconi in giú ghirlande ed in su melerance; e pulzellette e giovani garzoni baciarsi nella bocca e nelle guance; d'amor e di goder vi si ragioni. XX Di giugno Di giugno dovvi una montagnetta coverta di bellissimi arbuscelli, con trenta ville e dodici castelli
che sieno intorno ad una cittadetta, ch'abbia nel mezzo una sua fontanetta; e faccia mille rami e fiumicelli, ferendo per giardini e praticelli e rifrescando la minuta erbetta. Aranci e cedri, dattili e lumíe e tutte l'altre frutte savorose impergolate sieno per le vie; e le genti vi sien tutte amorose, e faccianvisi tante cortesie ch'a tutto 'l mondo sieno grazïose.
XXI Di luglio Di luglio in Siena, in su la Saliciata, con le piene inguistare de' trebbiani; nelle cantine li ghiacci vaiani, e man e sera mangiare in brigata di quella gelatina ismisurata, istarne arrosto e giovani fagiani, lessi capponi e capretti sovrani, e, cui piacesse, la manza e l'agliata. Ed ivi trar buon tempo e buona vita, e non uscir di fuor per questo caldo; vestir zendadi di bella partita; e, quando godi, star pur fermo e saldo, e sempre aver la tavola fornita, e non voler la moglie per castaldo. XXII D'agosto D'agosto sí vi do trenta castella in una valle d'alpe montanina, che non vi possa vento di marina, per istar sani e chiari come stella; e palafreni da montare in sella, e cavalcar la sera e la mattina; e l'una terra all'altra sia vicina, ch'un miglio sia la vostra giornatella,
tornando tuttavïa verso casa; e per la valle corra una fiumana, che vada notte e dí traente e rasa; e star nel fresco tutta meriggiana; la vostra borsa sempre a bocca pasa, per la miglior vivanda di Toscana.
XXIII Di settembre Di settembre vi do diletti tanti: falconi, astori, smerletti e sparvieri, lunghe, gherbegli e geti con carnieri, bracchetti con sonagli, pasti e guanti; bolze, balestre dritte e ben portanti, archi, strali, pallotte e pallottieri; sianvi mudati girfalchi ed astieri nidaci e di tutt'altri uccel volanti, che fosser buoni da snidar e prendere; e l'un all'altro tuttavia donando, e possasi rubare e non contendere; quando con altra gente rincontrando, le vostre borse sempre acconce a spendere, e tutti abbiate l'avarizia in bando. XXIV D'ottobre D'ottobre nel contado ha buono stallo: e' pregovi, figliuol, che voi v'andiate; traetevi buon tempo e uccellate come vi piace, a piede ed a cavallo; la sera per la sala andate a ballo, e bevete del mosto e inebrïate, ché non ci ha miglior vita, in veritate; e questo è ver come 'l fiorino è giallo. E poscia vi levate la mattina, e lavatevi 'l viso con le mani; l'arrosto e 'l vino è buona medicina. Alle guagnele, starete piú sani
che pesce in lago o 'n fiume od in marina, avendo miglior vita che cristiani.
XXV Di novembre E di novembre a Petrïuolo, al bagno, con trenta muli carchi di moneta: le rughe sien tutte coperte a seta; coppe d'argento, bottacci di stagno; e dare a tutti stazzonier guadagno; torchi e doppier che vengan di Chiareta, confetti con cedrata di Gaeta; bëa ciascuno e conforti 'l compagno. E 'l freddo vi sia grande e 'l fuoco spesso; fagiani, starne, colombi e mortiti, levori e cavriuoli arrosto e lesso; e sempre avere acconci gli appetiti; la notte 'l vento e 'l piover a ciel messo, e siate nelle letta ben forniti. XXVI Di dicembre E di dicembre una città in piano: sale terrene e grandissimi fuochi, tappeti tesi, tavolieri e giuochi, torticci accesi e star co' dadi in mano; e l'oste inebrïato e catelano, e porci morti e finissimi cuochi; e morselli ciascun, bèa e manuchi; le botti sien maggior che San Galgano. E siate ben vestiti e foderati di guarnacche, tabarri e di mantelli e di cappucci fini e smisurati; e beffe far de' tristi cattivelli, de' miseri dolenti sciagurati avari: non vogliate usar con elli. XXVII (Commiato) Sonetto mio, a Nicolò di Nisi, colui ch'è pien di tutta gentilezza, di' da mia parte con molt'allegrezza ch'io son acconcio a tutti suoi servisi; e piú m'è caro che non val Parisi d'avere sua amistade e contezza; sed ello avesse imperïal ricchezza, starieli me' che San Francesco in Sisi. Raccomendami a lui tutta fïata ed alla sua compagna ed Ancaiano, ché senza lui non è lieta brigata. Folgòre vostro da San Giminiano vi manda, dice e fa quest'ambasciata: che voi n'andaste con suo cuor in mano. Sonetti politici e moraleggianti
XXVIII
Piú lichisati siete ch'ermellini, conti pisan, cavalieri e donzelli, e per istudio de' vostri cappelli credete vantaggiare i fiorentini; e franchi fate stare i ghibellini in ogni parte, o cittadi o castelli, veggendovi sí osi e sí isnelli: sotto l'arme, parete paladini. Valenti sempre come lepre in caccia a riscontrare in mare i genovesi, e co' lucchesi non avete faccia; e come i can dell'ossa son cortesi, se Folgore abbia cosa che gli piaccia, siate voi contro a tutti li foresi. XXIX
Eo non ti lodo, Dio, e non ti adoro, e non ti prego, e non ti rengrazio, e non ti servo: ch'eo ne son piú sazio che l'anime di stare in purgatoro; perché tu hai messi i guelfi a tal martoro ch'i ghibellini ne fan beffe e strazio; e se Uguccion ti comandasse il dazio, tu il pagaresti senza perentoro. Ed hanti certo sí ben conosciuto, tolto t'han San Martino ed Altopasso e San Michele e 'l tesor ch'hai perduto; ed hai quel popol marcio cosí grasso, che per soperbia cherranti ' tributo: e tu hai fatto 'l cor che par d'un sasso. XXX
Cosí faceste voi o guerra o pace, guelfi, sí come siete in devisione, ché in voi non regna ponto di ragione, lo mal pur cresce e 'l ben s'ammorta e tace. E l'uno contra l'altro isguarda e spiace lo suo essere e stato e condizione; fra voi regna il pugliese e 'l Ganellone, e ciascun soffia nel fuoco penace. Non vi ricorda di Montecatini, come le mogli e le madri dolenti fan vedovaggio per gli ghibellini? E babbi, frati, figliuoli e parenti, e chi amasse bene i suoi vicini, combatterebbe ancora a stretti denti. XXXI
Guelfi, per fare scudo delle reni, avete fatto i conigli leoni, e per ferir sí forte di speroni, tenendo vòlti verso casa i freni. E tal perisce in malvagi terreni,
che vincerebbe a dar con gli spontoni; fatto avete le púpule falconi, sí par che 'vento ve ne porti e meni. Però vi do conseglio che facciate di quelle del pregiato re Roberto, e rendetevi in colpa e perdonate. Con Pisa ha fatto pace, quest'è certo; non cura delle carni malfatate che son remase a' lupi in quel deserto.
XXXII
Cortesia cortesia cortesia chiamo e da nessuna parte mi risponde, e chi la dèe mostrar, sí la nasconde, e perciò a cui bisogna vive gramo. Avarizia le genti ha preso all'amo, ed ogni grazia distrugge e confonde; però se eo mi doglio, eo so ben onde: di voi, possenti, a Dio me ne richiamo. Ché la mia madre cortesia avete messa sí sotto il piè che non si leva; l'aver ci sta, voi non ci rimanete! Tutti siem nati di Adamo e di Eva; potendo, non donate e non spendete: mal ha natura chi tai figli alleva. Sonetti di dubbia attribuzione
XXXIII
Amico caro, non fiorisce ogni erba, né ogni fior che par, frutto non porta; e non è vertudiosa, ogni verba, né ha vertú ogni pietra ch'è orta; e tal cosa è matura e pare acerba, e tal se par doler che se conforta;
ogni cera che par, non è soperba, cosa è che getta fiamma e che par morta. Però non se convien ad uomo saggio volere adesso far d'ogn'erba fasso, né d'ogni pietra caricarsi 'l dosso, né voler trar d'ogni parola saggio, né con tutta la gente andare a passo: senza ragione a dir ciò non son mosso.
XXXIV
Quando la voglia segnoreggia tanto, che la ragion non ha poter né loco, ispesse volte ride l'uom di pianto e di grave doglienza mostra gioco; e ben seria di buon savere affranto chi fredda neve giudicasse fòco; simil son que', che gioi' mostrano e canto di quel, onde doler devriano un poco. Ma ben si può coralmente dolere chi sommette ragione a voluntade e segue senza freno suo volere; che non è già sí ricca podestade com' se medesmo a dritto mantenere, seguire pregio, fúgger vanitade. XXXV
Fior di virtú sí è gentil coraggio, e frutto di virtú sí è onore, e vaso di virtú sí è valore e nome di virtú è uomo saggio; e specchio di virtú non vede oltraggio e viso di virtú, chiaro colore, ed amor di virtú, buon servitore, e dono di virtú, dolce lignaggio. E letto di virtú è conoscenza, e seggio di virtú, amor leale, e poder di virtú è sofferenza; e opera di virtú, esser leale,
e braccio di virtú, bella accoglienza: tutta virtú è render ben per male.
SOMA HAMUDURUWO AND THE SINHALA BUDDHISTS Hundreds of thousands of people who flocked to Maharagama and Colombo to pay their last respects to Ven. Gangodawila Soma Thero or Soma Hamuduruwo as the Ven. Thero was known to the general public should have reminded those totemic figures in the fourth estate and other pundits who know only to vomit the so called theories that they had learnt fro