1. Premessa Le comunità cristiane non possono fare a meno di gioire perché sono chiamate a rendere testimonianza della propria fede in Gesù Cristo risorto che trasforma la vita dell’uomo e del mondo in una festa continua. E’ stato scritto che: "la nostra esistenza di cristiani consiste nel vivere continuamente il mistero pasquale: piccole morti successive seguite dai segni di una risurrezione. Là è l’origine della festa. Ormai tutte le strade sono aperte, la nostra vita prosegue, usando sia il buono che il meno buono. La festa riappare per sino nei momenti in cui non sappiamo più molto bene quel che ci succede, persino nella prova più dura dell’uomo una lacerazione affettiva. Il cuore è ferito ma non diventa affatto insensibile; si rimette a rivivere. La festa si costruisce" 1. Non ci sono ragioni per annullare o far scomparire la festa dall'animo umano per non privarlo di quella tensione interiore che rende ricco di speranza il nostro pel- legrinaggio sulla terra. Sarebbe un tentativo pari a quello che volesse cancellare o strappare la pagina delle Beatitudini dal libro del Vangelo. Ciò che le persone sono, credono, sperano, amano e intendono fare, trova un riflesso nella festa che essi organizzano e vivono insieme. La festa può essere inquinata non da ciò che avviene all’esterno ma da ciò che è nel cuore dell’uomo perché le sue radici sono poste nelle convinzioni umane e spirituali di ogni cittadino cristiano. Perciò essa non può essere sganciata da un contesto di fede e di civiltà e da una tradizione motivata e viva. E' necessario rivisitare queste motivazioni essenziali, senza le quali le feste possono diventare occasione di evasione e di mancato impegno per il bene comune. Certamente non può essere disattesa l'esigenza educativa, per creare mentalità, consapevolezza, unità e coordinamento nell’attuazione di un programma comunitario e per rapportare le feste alla realtà civile ed ecclesiale del nostro tempo e alle sfide che sono sotto lo sguardo di tutti. In questo documento parleremo delle feste patronali nel loro rapporto alla realtà sociale, civile ed ecclesiale. Per l’utilità comune si potranno dedicare in altra occasione tempi comunitari di riflessione e di approfondimento, per esempio, alle benedizioni e agli esorcismi, alle immagini sacre, alla devozione mariana, ai pellegrinaggi, alle processioni ecc.2 Certamente si dovrà parlare delle feste patronali come espressioni della pietà popolare. Però se le feste patronali sono profondamente legate alla pietà popolare è necessario, come ha detto Giovanni Paolo II, che esse diano una continua dimostrazione dell’attiva presenza dello Spirito Santo nella Chiesa che rende nobili le
1 SCHUTZ R., La tua festa non abbia fine, Morcelliana , 2. 2 Sinodo Diocesano di Sessa Aurunca (1987-1990), La ricerca del Regno di Dio, II, 111-123
diverse forme di espressione del messaggio cristiano, in armonia con la cultura e con i costumi di ogni luogo e in tutti i tempi3. Il nostro impegno deve consistere nell’impedire che le feste patronali facciano un cammino che non tenga conto dello sforzo di testimonianza e di sollecitudine che la Chiesa sta facendo per essere presente nel contesto culturale contemporaneo, per essere vicina e condividere le preoccupazioni delle famiglia, i problemi dei giovani e dei disoccupati, per prendersi cura delle povertà emergenti, per collegarsi con il mondo dello spettacolo, del turismo, dello sport e soprattutto per offrire un itinerario di fede cristiana più incarnata e genuina. Per questi motivi, tenendo presenti le indicazioni del magistero, è doveroso incominciare a pensare ad una evangelizzazione della festa perché essa dimostri e sprigioni nelle comunità la sua efficacia pastorale. Inoltre non può essere sottovalutata l’aspetto culturale della festa patronale che non si può ridurre soltanto ad elementi futili e secondari. Questo rapporto è importante ed attuale perché la cultura è il segno distintivo di una società4 ed è il patrimonio più prezioso di un popolo. La festa nasce da un contesto culturale e deve porsi al servizio della cultura facendo attenzione <ai preziosi elementi positivi della modernità avanzata come il bisogno di senso e di speranza, l’esigenza di solidarietà e di etica pubblica, la ricerca di relazioni interpersonali sincere>5. Questo sussidio pastorale è il risultato delle indicazioni emerse nel Convegno diocesano che a sua volta è stato preceduto da un sondaggio socio-religioso di tipo esperienziale sottoponendo alla riflessione dei presbiteri, dei consigli parrocchiali delle quattro foranie e del consiglio pastorale diocesano uno schema di lavoro ed un questionario. In questo modo partendo dalla realtà sottoposta a verifica le comunità parrocchiali hanno ben chiare le motivazioni e le valutazioni per migliorare o cambiare la situazione. 2. Festa cristiana e pietà popolare - Senza alcun dubbio deve essere riconosciuto alle feste patronali il merito di orientare l’attenzione su una pastorale popolare centrata sul vissuto religioso di tipo tradizionale e devozionale. La religiosità popolare è importante perché dà l’opportunità di constatare le forme con cui l’uomo si esprime in tutta la sua realtà all’interno di una cultura, di una fede, di un popolo, di un contesto storico concreto6. Nell’ Evangelii Nuntiandi Paolo VI colloca all’interno dell’evangelizzazione la realtà della religiosità popolare come espressione particolare della ricerca di Dio e della fede. Pur non tacendo le molteplici deformazioni della religiosità popolare il Papa ammette che essa, orientata bene pedagogicamente, <è ricca di valori>: la sete di Dio, la generosità ed il sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; un senso acuto degli attributi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa 3 Giovanni Paolo II , in occasione della Celebrazione della Parola sul tema della religiosità popolare, Cile 1986 4 Cf CARRIER H., Dizionario di cultura, LEV, 1997, p.121. 5 CEI, Con il dono della carità dentro la storia, 27. 6 cf Idem pp.9-12
e costante; atteggiamenti interiori come la pazienza, il senso della croce nella vita quotidiana, il distacco, l’apertura agli altri, la devozione. Perciò non si può più parlare di religiosità, ma si deve dire <pietà popolare> o religione del popolo. Anche Giovanni Paolo II ha detto che "la pietà popolare è un vero tesoro del Popolo di Dio. Essa deve essere strumento di evangelizzazione e di liberazione cristiana. Il <cattolicesimo popolare>, la stessa pietà popolare sono realmente autentici quando riflettono la comunione universale della Chiesa con manifestazioni di una stessa fede, uno stesso Signore, uno stesso Spirito, uno stesso Dio e Padre" 7. Se la festa patronale ruota nell’orbita della pietà popolare deve essere portatrice di questi valori ed organizzarsi intorno ad essi. Se tutto ciò è vero l’atteggiamento più corretto è quello di accogliere la festa patronale per purificarla. Mediante una strategia dell’incarnazione è possibile passare dalla pietà popolare alla fede. Bisogna evitare gli estremismi di chi snobba la pietà popolare e quindi la festa patronale e di chi l’accetta incondizionatamente. La festa patronale “ben orientata” può diventare nella comunità ecclesiale una forma cosciente e partecipata di testimonianza e di autoevangelizzazione annuale proponendo qualcosa di valido per la fede, la vita cristiana, la carità, la solidarietà, la gioia e la distensione degli animi. Se nel nostro tempo all’urgenza di rifare il tessuto cristiano della società umana si deve rispondere, come ha scritto Giovanni Paolo II, rifacendo il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali8, si comprende come sia necessario sottoporre a discernimento anche le feste patronali per verificare se esse sono espressioni di comunità ecclesiali mature9. Per giungere a questi obiettivi è necessario sollecitare la partecipazione ad un piano unitario ed organico di evangelizzazione che sia di tutto il popolo di Dio. Fino a quando ci sarà chi si esime o pone fuori dal dinamismo della nuova evangelizzazione, nelle nostre comunità ci saranno gravi difficoltà per la vita di fede anche nell’ambito delle feste patronali e della pietà popolare. Ci saranno gli “irriducibili” che privi di orientamento religioso confonderanno la festa cristiana con i festeggiamenti esterni con grave danno dell’intera comunità. 3. La Festa del popolo cristiano - Con questa correlazione si intende mettere in risalto il tipo e il soggetto della festa che si intende promuovere. Nel nostro caso la festa patronale rientra nella sfera della <festa religiosa> caratterizzata cioè dal riferimento al mistero di Dio, alla venerazione della Madonna e dei Santi, agli eventi della Salvezza cristiana, e all’impegno del comandamento dell’amore cristiano con una dimensione celebrativa e rituale propria. La festa patronale perciò si differisce dalle feste laiche che hanno una dimensione prettamente storica, civile e sociale. 7 GIOVANNI PAOLO II , in occasione della Celebrazione della Parola sul tema della religiosità popolare, Cile 1987; e dell’incontro con gli indigeni, Columbia 1986. 8 GIOVANNI PAOLO II, Christifideles laici, 34. 9 Idem
Da un sondaggio popolare è emerso che la festa religiosa-patronale è percepita come un "canale attraverso il quale passa il tesoro della fede" e come un mezzo per "sentirsi più cristiano".10 Questo senso comune del popolo non può essere trascurato nelle feste patronali. Il cristiano vuole fare festa in un modo proprio con finalità ed obiettivi che diano prova del suo inserimento nel mondo mediante la fede. Nelle feste egli vuole rafforzare la sua appartenenza a Dio e alla comunità di coloro che Gli credono. Chi non sente e non vive questa appartenenza con gesti concreti e visibili non può essere animatore di una festa cristiana e comunitaria. Il popolo non è solamente destinatario della pastorale ma il soggetto da cui partire per fare pastorale. Nel campo civile va maturando la mentalità che l’identità di “popolo” non promana soltanto da una prospettiva classista o sociale ma richiede un radicamento in una storia ed una cultura. In modo essenziale possiamo dare l’appellativo di “popolo” ad una “collettività su un territorio”, anche se essa in realtà l’idea di “collettività” fatica ad affermarsi in una situazione di disgregazione. Infatti va scemando la coscienza dell’appartenenza ed il territorio diventa sempre meno omogeneo sia socialmente che culturalmente11. Nella vita ecclesiale la categoria di “popolo” ha ricevuto caratterizzazioni sempre più concrete passando dalla visione teologica ed universale della Lumen gentium12 a quella pastorale e missionaria della Gaudium et Spes13 e del Decr. Ad Gentes. Le persone non sono considerate nella sola dimensione metafisica ed universale ma <come membri di una certa comunità>. Con gradualità viene prospettato il progetto di attività e di inserimento in una precisa comunità locale che deve formarsi in modo da "provvedere da sola, per quanto è possibile alle proprie necessità> senza far mancare una forte spinta missionaria ed ecumenica"14. Conseguentemente anche nelle feste patronali il soggetto è la comunità locale. La festa nasce nella comunità ed è destinata ad essa. Essa deve valorizzare le potenzialità umane, culturali e spirituali dei suoi membri. La comunità non può delegare ad altri il contenuto della festa, il suo programma e la sua realizzazione. La festa è una realtà complessa e singolare che non può essere mortificata e svuotata del suo aspetto interiore, comunitario e locale. Se è vero che la pietà popolare rispecchia la realtà del territorio in cui la propria parrocchia è insediata, è necessario che si valorizzino persone, strutture e possibilità economiche del luogo. Importando da altre località le espressioni di festa la comunità opera una atto di autolesione o di resa, come se dicesse che non è capace di fare festa, di dare vita a qualcosa di coinvolgente.
10 cf Vito Orlando, Religione del popolo e pastorale popolare, LDC, p.55. 11 cf Vito Orlando, Idem, LDC, pp.24-26 12 cf Lumen gentium, cap. II 13 cg GS 3, 11, 32 14 Cf Ad gentes, 15.
Anche la questua circoscritta alla sola comunità parrocchiale è un atto di giustizia e di rispetto civile, contribuisce a far sentire propria la festa ed eviterebbe un continuo ed estenuante stillicidio contributivo che offende soprattutto quelle persone e quelle famiglie che non versano in buone condizioni economiche. 4.La festa nella storia della salvezza Nella Bibbia la festa è collegata in modo deciso con la storia religiosa del popolo che riconosce la presenza di Dio in tutti gli avvenimenti della sua vita. Il vero motivo della festa è la fede in Dio che crea, che libera, che chiama, che raduna, che guida il suo popolo, che fa alleanza, che sceglie i profeti, i re, che mantiene le promesse, che fa conoscere il suo pensiero. Nella coscienza popolare Dio è la prima festa di ogni persona e comunità, fuori di Lui non c'è festa. I profeti insistentemente sono ritornati sulla necessità che il popolo vivesse in un rapporto di obbedienza a Dio e all'Alleanza perché la gioia non venisse a mancare nei loro cuori. Non era sufficiente celebrare le feste per osservare leggi rituali o tradizioni popolari. Le grandi feste perseguivano finalità di natura spirituale. Erano momenti per ricordare le grandi opere del Signore, il suo amore, la sua fedeltà, la sua provvidenza, per ringraziare e per offrire a Lui qualche segno simbolico di ciò che nella sua bontà aveva elargito al popolo, Erano giorni anche di purificazione dai peccati, di pentimento e di cambiamento. Dalla lettura dei libri sacri appare evidente il progresso compiuto dal popolo nel rendere religiose le feste legate ai cicli delle stagioni, alla vita agricola e alla pastorizia (Es 23,14-19). La celebrazione del sabato ogni sette giorni fa riferimento al settimo giorno della creazione (Es 20,11) e alla liberazione dalla schiavitù egiziana (Dt 5,15), e conserva anche come finalità il riposo dal lavoro ed il rinvigorimento delle forze fisiche (Es 23,12). La Pasqua celebrata prima come festa agricola del primo raccolto e come festa pastorale del sacrificio dei primi nati del gregge, attualizza poi con rito solenne la liberazione dalla schiavitù di Egitto (Es c. 12, 1-29, 34,25). La Pentecoste è una festa di natura agricola per la mietitura (Es 23,16; Lv 23,15-21) che si celebra cinquanta giorni dopo la Pasqua. La festa delle Capanne (Lv 23,33-43) ricorda l'esodo e la precarietà del deserto. Ogni 7 anni si celebrava l'anno sabbatico (Lv 25,1-7), in cui la terra non doveva essere lavorata, gli schiavi acquistavano la libertà e i pegni e i prestiti dovevano essere restituiti. Ogni 50 anni si celebrava il giubileo (Lv 25,8-34) per la liberazione degli schiavi e per la restituzione agli antichi padroni delle terre ipotecate. Il giorno dell'espiazione (Lv 16) era una festa annuale straordinaria per la confessione e l'espiazione dei peccati. La festa dei Purim (Ester 9, 20) ricorda la liberazione degli Ebrei durante il regno di Assuero.
La festa della dedicazione (1 Mac 1,54; Gv 10,22) ricordava la purificazione del tempio dalle profanazione di Antioco IV Epifane15. Queste feste nel Nuovo testamento hanno avuto un riferimento diverso ed hanno ricevuto un significato pieno rapportandole all'evento della Pasqua del Signore. La festa è proposta anche come un'occasione per verificare la fedeltà all'alleanza, per rivedere le motivazioni e la qualità della propria fede e della propria vita. vita. La reazione di Mosè alla festa organizzata dal popolo per l'adorazione del vitello d'oro può anche significare che non bisognava fare festa in quel modo perché non erano giustificati né i motivi, né il contenuto e neanche i sentimenti del cuore. In quel caso non c'era festa perché era venuto meno la fede, la fedeltà al Dio dell'Esodo. Gli uomini di loro spontanea volontà avevano sostituito il vero Dio con un altro dio, si erano pervertiti, e avevano organizzato la festa in maniera disonorevole ed autonoma. In questo modo è tracciata la linea di demarcazione di una festa secondo Dio e di una festa celebrata in difformità alla volontà di Dio. Un popolo dalla dura cervice che altera il significato della festa attira su di sé un giudizio negativo. Dall'insegnamento biblico la festa autentica deve caratterizzarsi per la sua capacità di cogliere il significato della testimonianza di coloro che hanno seguito Gesù Cristo con l'eroicità della vita e del sacrificio personale conformandosi al suo Vangelo, senza aggiungere o sottrarre nulla. La festa non fa memoria soltanto del passato ma "attualizza in una speranza autentica il compimento della salvezza; il passato di Dio assicura il futuro del popolo"16. Infine la festa non è disattenta alle esigenze del presente. In una situazione di grave disagio umano, sociale ed ecclesiale la festa non può far finta che tutto proceda bene senza generare la compunzione del cuore, il desiderio del ravvedimento, la necessità dell'espiazione e del cambiamento. La festa deve incidere sul comportamento civile ed morale dei cristiani, perché gli altri (poveri, atei, indifferenti, emarginati, ecc.) vedano le loro opere buone e glorifichino Dio che immaginano lontano dai loro problemi. La Parola di Dio spinge ogni comunità a interrogarsi seriamente su quanti e quali atteggiamenti profani si sono infiltrati nelle feste cristiane ed hanno creato sovrastrutture che umiliano l'autentica pietà popolare. Solo se si libera da tutto ciò che non appartiene al vero sentimento religioso e alla fede, la festa cristiana può aiutare gli uomini "a gustare con semplicità le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell'esistenza e della vita; gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio" 17.
15 BUDD Ph., Feste e celebrazioni, in Guida alla Bibbia, pp.180-181.HH 16 SESBOUE D. e LACAN M.-F, Feste, in Dizionario di Teologia biblica, p. 395. 17 Paolo VI, La gioia cristiana, I.
5 La festa ed il rinnovamento liturgico Nel contesto del rinnovamento liturgico inaugurato dal Concilio Vaticano la liturgia viene proposta come "l'ultimo momento nella storia della salvezza"18. Il cristiano fa il suo cammino di fede nel tempo della Chiesa che attua la salvezza mediante l'annuncio, il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica19. Il tempo della Chiesa è scandito da giorni di festa e da giorni di penitenza. La domenica è la festa primordiale della comunità cristiana. Essa è radicata su elementi essenziali che non possono mancare in un giorno di festa cristiana. Essi sono: il riunirsi in assemblea, l'ascolto della Parola, la partecipazione all'eucaristia, il far memoria della passione, della risurrezione e della glorificazione del Signore Gesù. E' importante cogliere il significato di questa festa settimanale perché essa deve educarci alla gioia e a far festa. La domenica contiene in sé una ricchezza grande di memoria, presenza e profezia. Il cristiano deve convincersi che <la domenica prima di essere il giorno che essi dedicano al Signore, è il giorno che Dio ha deciso di dedicare al suo popolo, per arricchirlo di doni e di grazia… la domenica è anche il giorno della Chiesa, dedicato alla Chiesa e alla sua missione nel mondo>20. Da una gioiosa celebrazione del giorno della domenica "nasce anche il vero significato della festa cristiana: in essa l'uomo può ritrovare se stesso ed essere restituito ai suoi valori più profondi di fede e di umanità. In un mondo dove prevale la funzionalità e si è quotidianamente condizionati da mille affanni della vita, la festa cristiana afferma con forza il diritto e il dovere al riposo, lo spazio del gratuito, della creatività, del rapporto con gli altri e con Dio"21. Non può essere dimenticata la dimensione caritativa della domenica e della festa cristiana che scaturisce dalla celebrazione dell'Eucaristia che "non distoglie dai doveri della carità ma impegna maggiormente i fedeli a tutte le opere di carità di pietà, di apostolato, attraverso le quali divenga manifesto che i fedeli di Cristo non sono di questo mondo e tuttavia sono luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini> (SC 9)"22. Viste in questa prospettiva le feste richiedono una grande disponibilità perché è necessario far chiarezza in "quelle frequenti situazioni in cui tradizioni popolari e culturali tipiche di un ambiente rischiano di invadere la celebrazione della domeniche e delle altre feste liturgiche, mescolando allo spirito dell'autentica fede cristiana elementi che le sono estranei e potrebbero sfigurarla"23. Un segno positivo di rinnovamento sarebbe quello di curare un Proprio liturgico diocesano ove i testi delle feste in onore della Madonna e dei Santi corrispondano e
18 MARSILI S. La liturgia, momento storico della salvezza, in Amnseis, 1, p.91 ss. 19 Sacrosancutm Conciulium 6. 20 Cf CEI, Eucaristia , comunione comunità, 75-761 21 Idem, 76 22 GIOVANNI PAOLO II, Dies Domini, n. 69, 23 Idem, n. 80.
siano in conformità del messaggio che la festa parrocchiale o diocesana vuole comunicare ai fedeli. 6 La festa e la fede cristiana Tra la fede e la festa c'è un profondo e reciproco rapporto perché una fede che non genera gioia è troppo povera e arida. Una festa senza fede pecca di esteriorità e genera contrasti e formalismi. "Una grande gioia" (Lc 2,10) è il primo annuncio fatto agli uomini nel Natale di Gesù. Al cristiano viene chiesto di convertirsi e di credere al Vangelo (Mc 1,15) che significa "buona notizia". E' necessario partire da questa constatazione primordiale per comprendere la vera natura della festa cristiana. Essa nasce dalla fede in Gesù Cristo e ad essa deve condurre gli uomini. La comunità cristiana è chiamata a trasmettere di generazione in generazione la buona notizia di Gesù Cristo (At 8,35), perché gli uomini possano con gioia continuare il loro cammino (At 8, 39). Non deve esserci alcun sdoppiamento tra la fede e la festa, tra la fede e la vita. In questi momenti di intensa e partecipata vita comunitaria i fedeli devono sperimentare nei loro ritmi esistenziali la luce e la forza della testimonianza della Madonna e dei Santi loro patroni, che per primi hanno seguito Gesù e lo hanno amato con gesti concreti. Ogni cristiano allora è interpellato ad essere il continuatore di questi uomini e donne coraggiose del passato che hanno creduto alla forza dell'amore di Dio. Nelle feste in suo onore la Vergine Maria "chiama i credenti al Figlio suo, al suo sacrificio e all'amore del Padre"24. Perciò un credente in festa venererà in modo giusto la Madre di Gesù e la Madre della Chiesa se si prefigge di progredire nella fede, speranza e carità e di cercare e compiere la sua volontà in ogni cosa25. La venerazione dei Santi deve riuscire a dare una direzione alla propria esistenza. Le gente deve vedere e cogliere nel santo quelle indicazioni che è necessario seguire per realizzare la propria vocazione cristiana. Molte volte il Santo viene venerato non per quello che è ed insegna, ma per ciò che il popolo Gli attribuisce. Anche la gente di fede "si sente libera di pensare e configurare i santi secondo le aspirazioni umane spirituali diffuse nel proprio inconscio"26. Dalle modalità seguite nelle celebrazioni sembra che nelle feste l'attenzione del popolo non si sofferma su ciò che è essenziale nella testimonianza dei Santi. La loro memoria è poco accolta come uno stimolo alla santità personale e come una denuncia verso ciò che è deludente e negativo nel proprio contesto umano e sociale, entro la vita della chiesa ed anche nell'intimo della propria esperienza cristiana. Una festa cristiana, come forma popolare di evangelizzazione, deve produrre opere degne di conversione, e contribuire a cambiare i criteri di valutazione della coscienza personale e collettiva degli uomini.
24 Lumen gentium, 65. 25 Cf Idem 26 GOFFI TULLO, Vissuto spirituale popolare, in Problemi e prospettive di spiritualità, p.422.
Lo spirito del discorso delle montagna e delle beatitudini (Mt 5; Lc 6,20-23), le caratteristiche della carità (1Cor 13) e della libertà cristiana (Gal 5), l'appello all'unità e alla vita nuova (Ef 4), la forza della riconciliazione e del perdono ( Lc 6,36; Mt 7,1), l'umiltà (Fil 2,3-16), la vigilanza e la prudenza (Sap 8,7; Ef 5,15) dovrebbero essere oggetto di indagini accurate per verificare il cammino di santità della comunità ecclesiale. Seguendo questi criteri di anno in anno potrebbe aumentare il numero dei poveri in spirito, di coloro che soffrono per il male che esiste nel mondo, dei miti, dei misericordiosi, dei puri di cuore, delle persone che hanno fame e sete di giustizia, che non hanno paura della persecuzione per amore del Vangelo. Tutti dovremmo darci da fare perché ci sia più festa in cielo, decidendoci, sull' esempio della Madonna e dei Santi che veneriamo anno per anno, di essere perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste (Mt 5,48). 7. La festa religiosa nel contesto sociale La festa religiosa non solo fa sentire "più cristiani" i membri della comunità ma li rende "più umani". I tratti di una autentica umanizzazione sono evidenziati dagli atteggiamenti di socialità, di partecipazione, di condivisione e di coinvolgimento. Il ritorno degli emigrati nel loro paese d’origine è naturalmente un motivo di festa ed incentiva il rapporto umano e solidale tra le persone. Durante il periodo della loro permanenza nel paese essi fanno parte della comunità che li accoglie e si inseriscono nel suo cammino di sviluppo umano e cristiano collaborando ad un miglioramento di tutte le iniziative civili e religiose che si programmano anche in rapporto alle feste religiose. Dovrà porsi ogni cura perché ci sia armonia ed unione di intenti tra coloro che solo per poco tempo sono in paese e coloro che vi abitano in modo permanente. Se la festa deve essere l’espressione di un cammino di fede e di vita cristiana avvenuto durante tutto l’anno, coloro che vengono da lontano devono partecipare ed inserirsi nel programma della comunità secondo gli orientamenti locali ed accogliere la festa come un’occasione per rivedere il proprio rapporto con le persone, con i propri fratelli nella fede, per verificare alla luce del messaggio cristiano le proprie convinzioni, il proprio comportamento e per farsi carico anche delle preoccupazioni e progetti presenti sul territorio. La festa anche per gli emigrati non può essere finalizzata all’evasione, alla distrazione o al prestigio. Anche essi sono invitati a contribuire ad una migliore e significativa celebrazione della festa patronale senza turbare il ritmo di vita della comunità. La qualità della festa si misura dagli atteggiamenti interiori ed il miglioramento matura nella comunità con un inserimento discreto ed intelligente da parte anche di coloro che abitualmente non vivono nel paese. Una “educazione alla comunione sociale”27 è la premessa più naturale perché la festa possa dar vita ad un processo di socializzazione in cui sono implicate le persone, le famiglie, le associazioni, i gruppi, i giovani, gli anziani di una parrocchia. Nessuno è escluso perché ognuno deve svolgere la propria parte evitando di essere solamente spettatore. In questo modo la comunità costruisce la festa e questa a sua volta 27 Cf SPIAZZI R., Principi di etica sociale, pp.50-56.
realizza la comunione superando individualismi, rivalità, ed emarginazione. La festa diventa l’occasione dell’incontro, dell’accettazione, della conoscenza, dell’amicizia, dell’attenzione reciproca, della comunicazione. Perciò è importante incrementare le occasioni di incontro tra gli stessi fedeli, tra questi e i turisti, i pellegrini, gli emigrati ecc. Sarà educativo mettere a fuoco quei problemi che hanno procurato preoccupazioni, incertezze durante l’anno. Questo aspetto della festa è in stretto rapporto con lo sviluppo culturale contem-poraneo. La festa deve evolvere anche culturalmente rivestendosi di uno spirito nuovo. In caso contrario tutta la sua impostazione diventerebbe anacronistica e insigni-ficante, ponendosi in contrasto con l’insieme dei tratti distintivi, spirituali e materiali, intellettivi e affettivi che caratterizzano un gruppo sociale o la società contem-poraneo28. Una eccessiva esteriorità delle feste ed un dispendio economico contrasta con una cultura della sollecitudine sociale che si fa carico dei gravi disagi esistenti e delle po-vertà sempre più preoccupanti. Fra persone mature circola la convinzione che le feste religiose abbiano perso spontaneità, gioiosità e coralità e non si differenzino da tante altre manifestazioni profane29. In altre parole a molti sembra che la festa non è più festa, perché è pri-vata degli elementi essenziali. In conformità al convegno di Palermo nel settore della cultura e della comunicazione sociale è utile pensare ad iniziative che promuovano pubblicazioni, concorsi che in-daghino sulla storia, sulla spiritualità, sull’arte della comunità e del territorio, riprese televisive, programmi radiofonici, inserzioni giornalistiche30 ecc. In campo occupazionale la festa potrebbe inoltre porre le premesse ed incentivare l’artigianato locale per il programma musicale, folkloristico, pirotecnico ecc., va-lorizzando le leggi esistenti sull’imprenditoria giovanile. Dopo una buona preparazione è costruttivo coinvolgere i giovani nei Comitati e nella organizzazione della festa per offrire loro una modalità d’inserimento nella vita par-rocchiale. La comunità in festa potrebbe rendersi promotrice di gesti concreti di solidarietà, co-me mense per i poveri, spazi ricreativi per anziani, cooperative e competizioni sportive per giovani ecc. Accantonando per alcuni anni risorse economiche, si può giungere alla costruzione di oratori come segno permanente di festa nella comunità. Chi entra a far parte del comitato deve mostrare propensione e disponibilità verso queste finalità e potenzialità che possono qualificare profondamente la festa e la comunità che la promuove.
28 Cf Gaudium et Spes, 53; CARRIER H, Dizionario della cultura, LEV, p.126. 29 VITO ORLANDO, idem, 61 30 SINODO DIOCESANO, La ricerca del regno di Dio, II, 122.
8. Orientamenti pratici Da queste osservazioni si possono dedurre alcuni comportamenti pratici perché la festa meglio corrisponda alle esigenze di una pastorale popolare nello spirito dell’insegnamento del magistero conciliare e postconciliare. Il documento dopo Palermo dice che non ci si può limitare alle celebrazioni rituali e devozionali e all’ordinaria amministrazione: bisogna passare a una pastorale di missione permanente. Perciò anche le feste patronali devono essere incluse in quel processo di evangelizzazione continua31 e di conversione pastorale che non si accontenta della semplice conservazione dell’esistente ma spinge alla missione32 . In questa prospettiva pure la festa deve contribuire perché la parrocchia si edifichi come comunità missionaria e soggetto sociale sul territorio33. 8.1 Bisogna impedire che le feste patronali permettano una deformazione della pietà popolare, mettano in pericolo la vera comunità ecclesiale e restino a livello cultuale senza impegnare una autentica adesione di fede34. I limiti della pietà popolare hanno origine da un certo semplicismo che può essere a volte fonte di fanatismi e di superstizione35. 8.2 Ci vuole buona volontà perché la festa patronale possa essere purificata da quegli elementi che non concordano con la fede. Esaltandone il valore culturale e spirituale essa può offrire i fondamenti per una fede più matura e per una più solida identità culturale umana36. 8.3 La festa patronale, inserita nel più ampio settore della religiosità popolare, ha l’opportunità di rendere più facile il dialogo tra vangelo e cultura. Se essa si nutre del messaggio cristiano autentico e non cade nella magia, superstizione, fatalismo o altre forme deviate di religiosità, può mettere in luce la saggezza di un popolo e la forza trascendente del Vangelo37. 8.4 E’ necessario prendere coscienza del soggetto e del destinatario della festa, delle modalità organizzative ed economiche e delle finalità. Questi elementi personali e strutturali devono essere posti periodicamente a verifica per salvaguardare meglio lo spirito e la realtà della festa. 8.5 Il soggetto e destinatario della festa è la comunità parrocchiale. La festa è della comunità e per la comunità. Perciò gli attori della festa devono essere i membri della parrocchia, della città o della diocesi. La comunità deve fare uno sforzo per non delegare ad altri questo momento importante della sua vita ecclesiale. La festa esterna deve essere il naturale prolungamento e coronamento di un cammino di fede e di comunione che è stato condiviso per tutto l’anno dai fedeli. Un meccanismo di fuga
31 GIOVANNI PAOLO II, Nel XXV anniversario della Costituzione sulla liturgia, n.18 32 CEI, Con il dono della carità dentro la storia, n.23 33 Idem 34 PAOLO VI. Evangelii Nuntiandi, 48. 35 Commissione teologica internazionale, Fede e inculturazione, III,2. 36 SINODO DEI VESCOVI 1987, Vocazione e missione dei laici, prop. 38. 37 S.CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE, Le giovani chiese, 1989, n.11.
all’esterno diventa una offesa alla propria identità e alle proprie capacità, non solo spirituali ma anche umane, aggregatrici e operative. 8.6 L’aspetto esteriore non deve prevalere sul contenuto religioso e sulla interiorizzazione della festa: Bisogna perciò eliminare campanilismi, forme indecorose di concorrenza e di prestigio locale. E’ necessario ridare alle feste religiose un contenuto di fede mediante momenti di ascolto della Parola di Dio, di celebrazioni e di opere di carità materiale e spirituale, e creare un clima dignitoso con illuminazioni e esibizioni canore e pirotecniche contenute38. 8.7 A livello diocesano dovrà stabilirsi un tetto di spesa oltre il quale, tenendo presente la popolazione parrocchiale o cittadina, non si deve andare per evitare controtestimanianze di spreco inammissibile, sopra tutto per concertini, in un contesto di estremo disagio economico, e di impressionante disoccupazione soprattutto nel nostro sud39. La somma sarà stabilita tenendo conto dell’entità, dell’estensione e delle possibilità della parrocchia. Una parte delle offerte dei fedeli deve essere finalizzata al "culto, al mantenimento dell’edificio sacro e alla solidarietà"40 8.8 Il comitato non è un organismo indipendente ed autonomo. E’ invece uno strumento esecutivo collegato con il consiglio pastorale parrocchiale per gli aspetti spirituali della festa e con il consiglio per gli affari economici per gli aspetti economici e finanziari della festa41. Le persone più idonee a far parte dei comitati sono coloro che vivono un’esperienza forte di fede cristiana e di vita comunitaria, soprattutto se sono membri di organismi, e di aggregazioni ecclesiali. Non si preclude la parteci- pazione a coloro che, secondo il parere del parroco, mostrano volontà di un cammino impegnato di vita cristiana42. Nella composizione dei comitati si dovrà seguire il criterio dell’avvicendamento annuale dei membri, evitando che vi facciano parte soltanto e sempre le stesse persone. 8.9 In tempo congruo devono essere presentati in Curia per l’approvazione la composizione del comitato, il bilancio preventivo ed il manifesto della festa con il visto del parroco, sentito il consiglio pastorale parrocchiale e sentito il vicario foraneo. 8.10 Le questue sono permesse fino all’anno duemila nell’ambito del proprio comune; da quella data solamente nell’ambito della propria parrocchia43 per non gravare i fedeli di un continuo ed inopportuno onere finanziario e per non generare l’idea che le feste procurino un notevole vantaggio economico a coloro che le organizzano.
38 CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA, Il culto popolare e la comunità ecclesiale, 1973, V, 4; Direttorio Liturgico della Diocesi di Sessa Aurunca, III, 88. 39 CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA, Idem V, 6; cf SINODO DIOCESANO, La ricerca del Regno di Dio, II, 122. 40 SINODO DIOCESANO, La ricerca del regno di Dio, 122; can 1254 §2 41 SINODO DIOCESANO, Idem, 122; DIRETTORIO LITURGICO, III, 93. 42 Cf CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE, Le giovani chiese, 11; Direttorio liturgico diocesano, III, 95. 43 SINODO DIOCESANO, Idem II, 122
8.11 Le processioni sono una testimonianza collettiva di fede e di devozione, espressione di preghiera comune, segno di appartenenza al popolo pellegrinante e di speranza. Essa deve essere liberata da ogni forma di trionfalismo, da elementi puramente folkloristici e accompagnate dall’ascolto della Parola di Dio e dalla preghiera comune44. Per questi motivi non possono essere sparati botti durante tutto il percorso della processione, né possono effettuarsi soste per consentire l’esecuzione di fuochi pirotecnici. Alle immagini e alle statue non si appendano denaro e oggetti votivi di qualsiasi natura45. La durata delle processioni deve contenersi nel tempo di due ore. Per eventuali eccezioni e deroghe è necessario volta per volta un esplicito e personale accordo con il Vescovo diocesano. 8.12 Per tutto ciò che attiene la musica, i fuochi pirotecnici, luminarie si promuovano organizzazioni locali, nell’ambito della parrocchia o della diocesi, incentivando così il lavoro nelle proprie località. Si deve porre ogni attenzione perché i concertini abbiano uno stile più consono allo spirito religioso della festa e non sottopongano la comunità a spese eccessive. 9. Conclusione Questa riflessione, a dieci anni dal Sinodo diocesano ha voluto riproporre all’attenzione comune gli irrinunciabili contenuti delle feste religiose per celebrarle nel modo dovuto come momenti della storia della salvezza. Come Vescovo diocesano confido che una costante e concorde azione pastorale ed una tenace opera di illuminazione, accompagnate da una gradualità di interventi e dalla docile collaborazione del Clero diocesano, dei religiosi/e e fedeli laici, potrà ridonare alla pietà popolare il significato e la forza di autentica e gioiosa celebrazione della fede, che aiuti a riprodurre in tutti il mistero pasquale di Cristo46. Immaginiamo la nostra situazione se la festa vera scomparisse dal mondo degli uomini e dalle nostre comunità. Dal Vangelo ci vengono proposti modelli di feste semplici e familiari. Nel cuore di ogni comunità "la festa è nutrimento, rinnovamento. Essa rende presente simbolicamente la finalità della comunità, e come tale stimola la speranza e dà una forza nuova per riprendere con più amore la vita quotidiana. La festa è un segno della resurrezione che ci dà la forza di portare la croce di ogni giorno. La festa è un tempo in cui si ringrazia Dio per la potenza del suo amore che si è manifestata nei confronti dell’umanità, del popolo o della comunità; è anche il richiamo del fatto che Egli è sempre presente, e veglia sul suo popolo e sulla sua comunità come un Padre che ama i figli. La festa cristiana è molto diversa dallo spettacolo, in cui alcuni attori o
44 SARTORE D., Le manifestazioni della religiosità popolare, in Anamnesis, p.242, 45 SINODO DIOCESANO, Idem, II, 122. 46 Cf CONFERENZA EPISCOPALE CAMPANA, Il culto popolare e la comunità ecclesiale, 1973, p.12.
musicisti divertono e distendono gli spettatori. In questa festa tutti sono attori, e tutti spettatori. Ognuno deve giocare e partecipare, se no non è una vera festa"47. Lo Spirito che dà la vita, ci inondi con la sua gioia e renda le nostre feste una risposta del cuore alla testimonianza di santità che le Persone della SS.Trinità, la Madonna ed i Santi propongono alla nostra Chiesa locale. Sessa Aurunca, 29 Novembre 1998, Ia Domenica di Avvento + Antonio Napoletano
47 VANIER J., La comunità luogo del perdono e della festa, Jaca Book, pp.213-227.
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